la Verità di TEOFRASTO*

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danzandosottolaluna
00martedì 14 novembre 2006 10:30








Il MALDICENTE



La maldicenza è un'inclinazione dell'animo a parlar male e il maldicente è uno che alla domanda «Il tale che tipo è?» risponde come fanno gli scrittori di genealogie con un lungo catalogo: «Prima di tutto voglio rifarmi alla sua origine. Suo padre originariamente si chiamava Sosia; fra i soldati divenne Sosistrato e dopo essere stato iscritto nelle liste dei cittadini diventò Sosidemo (1); la madre però è una nobile donna di Tracia o, almeno, la brava donna si chiama Crinocoraca (2). E se uno si chiama così, nel loro paese vuol dire che uno è nobile, almeno così si dice. Il tale stesso, come ci si può aspettare da una simile razza, è un fannullone farabutto». E nella sua malignità dice ad un altro: «Io me ne intendo, a me non la puoi dare a bere». E poi passa a far la rassegna: «Donne di questi tipo strappano in casa i passanti dalla strada» e «Questa casa è una di quella dove si allargano le cosce; e questa non è una battuta, come suol dirsi, ma quelle lo fanno come i cani per la strada» e «Insomma, poche parole, sono trappole per uomini» e «Quelle fanno entrare di persona stando sulla porta del cortile» . Se anche altri già sparlano, egli interviene e rincara la dose e dice: «Io odio quell'uomo più di ogni altro. Già al solo vederlo è ripugnante. La sua cattiveria gli fa ricercare i suoi simili. La prova: a sua moglie, che pur gli ha portato alcuni talenti in dote, ha assegnato tre miseri soldi di rame per la spesa solo dopo che gli ha partorito un figlio (3) e nel giorno di Poseidone la costringe a fare il bagno con l'acqua fredda (4)» . Quando siede in compagnia di altri, se uno si alza e se ne va, comincia subito a parlare di lui e, quando ha preso l'avvio, non si trattiene più e si mette a diffamare anche i suoi parenti. E di solito parla male anche dei propri parenti, degli amici, dei morti; il diffamare lo chiama libertà di parola, democrazia, libertà e questo è per lui una delle cose piacevoli della vita. ]

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1) Sosia era tipico nome di schiavo e poteva essere arrivato a fare il soldato e poi ad iscriversi tra i cittadini solo con maneggi poco chiari.
2)Le donne tracie erano di solito schiave o cortigiane; oscuro il gioco di parole sul nome Crinocoraka (bianca come il giglio - nera come il corvo). Forse era nome da cortigiana.
3) Dopo la nascita del figlio la dote sarebbe rimasta comunque in famiglia
4) La festa cadeva in dicembre.




IL FALSO



La falsità (1) è dunque, secondo la definizione, la simulazione in peggio di fatti e di parole. La persona falsa è quindi uno che quando incontra i suoi nemici si mette a parlare con loro e non mostra il suo odio. Egli loda in faccia chi di dietro ha fatto a pezzi ed esprime la sua partecipazione a chi ha avuto la peggio [in un processo]. Mostra indulgenza con chi sparla di lui e per le brutte cose dettegli contro. Con le persone che hanno subito un torto e sono arrabbiate, parla in modo mite. Se uno ha premura di parlargli, gli fa dire di passare in un altro momento (2). Nulla fa sapere di ciò che sta facendo, ma dice che ci sta ancora pensando; fa sempre finta di essere appena arrivato, di aver fatto tardi, di non sentirsi bene. A coloro che lo pregano di un prestito o fanno una colletta, dice di non essere ricco (3), se vende (4) dice che non vende, se non vende dice di vendere. Qualunque cosa abbia sentito, nega; qualunque cosa abbia visto, dice che non lo ha visto, se ha fatto un'affermazione, dice di non ricordarsene. Di certe cosa ora dice che ci sta pensando, di altre che non sa bene, di altre che è proprio una sorpresa. di altre che quella era proprio la sua idea. Soprattutto egli è specialista nell'usar frasi del genere «non ci credo», «non capisco proprio», «sono stupefatto», «sei tu a dire che la cosa è andata diversamente», «questo a me non lo ha proprio detto», «la cosa mi sembra paradossale», «vallo a raccontare ad un altro», «proprio non mi è chiaro se non devo credere a te o se devo far torto all'altro», «stai attento a non dar fiducia troppo rapidamente!».
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1) I titoli nell'originale indicano non la persona ma la caratteristica astratta; per antica tradizione si usa però tradurre nel tipo di persona descritta; in questo caso il titolo originale è "eirõneia" che però nulla ha a che vedere con la nostra "ironia". È piuttosto l'arte di simulare, ma solo ai fini della propria tranquillità; noi diremmo forse che siamo di fronte ad una persona non impegnata. La prima frase è di difficile comprensione: forse Teofrasto vuol dire che questo tipo di persona accetta di essere stimato uomo da poco pur di non impegnarsi.
2) Ovviamente per potersi preparare
3) Altri leggono "dice di non essere in grado di..".
4) O, più genericamente, "se fa affari".





L'ADULATORE



L'adulazione potrebbe definirsi un comportamento riprovevole che giova all'adulatore. L'adulatore è una persona che trovandosi in compagnia di un altro dice: «Hai notato come la gente ti guarda? Questo nella nostra città non capita a nessuno salvo te; ieri sotto i portici (1) ti hanno lodato». E continua dicendo che più di trenta persone erano là sedute ed era caduto il discorso su chi fosse il cittadino migliore; e dal primo all'ultimo tutti avevano concordato su lui ed il suo nome. Così dicendo gli toglie un filo dal mantello e se per il vento gli finisce una pagliuzza fra i capelli, la toglie via e dice sorridendo: «guarda, in due giorni che non ti ho incontrato, hai la barba piena di peli bianchi, eppure per la tua età hai ancora capelli neri come nessun altro» . E quando Lui (2) inizia a parlare, l'adulatore subito impone agli altri di tacere, poi lo loda quando sa di essere udito ed esclama «giusto, verissimo», quando Lui finisce di parlare; egli ride di una sua freddura e si preme il mantello sulla bocca come se non riuscisse a frenare il riso. Quando incontrano dei passanti li fa fermare finché Lui sia passato. Ai bambini di Lui compra mele e pere, le porta con sé e le regala loro quando Lui può vederlo, li bacia e poi esclama «Frugoletti, che padre d'oro avete!» . Va con Lui a comperar le scarpe e dice che egli ha un piede più elegante dei sandali. Se Lui va in visita, l'adulatore corre avanti (3) e dice: «Ecco, Lui viene da te» e poi torna indietro per dire «Ti ho annunziato». Naturalmente si affanna anche per fare per lui compere al mercato delle donne (4) [e gli fa la spesa e noleggia flautiste (5)]. Quando sono a tavola è il primo a lodare il vino e continua a ripetere «quanto è squisito da te il vino» e prendendo qualche cibo dalla tavola esclama «ma quant'è buono!». E poi gli domanda se sente freddo, se non vuol coprirsi un po' di più e se per caso non gli deve mettere indosso qualcosa. Così dicendo si china verso di lui e gli mormora nell'orecchio e guarda verso di Lui rapito, anche se sta parlando con altri. In teatro toglie i cuscini di mano allo schiavo e li accomoda lui stesso sotto al compagno. E poi dice che la Sua casa è una bellissima costruzione, che i Suoi poderi sono come un giardino, che il Suo ritratto è parlante.


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1) Lo stoà di Atene, detto loggiato o portico del Pecile, era famoso.
2) Il testo usa il termine autòs (lui, esso stesso), impiegato dagli studenti per indicare il maestro o dai servi per indicare il padrone.
3) Compito riservato ai servi.
4) Parte del mercato ove gli uomini, salvo gli schiavi, comperavano di rado.
5) Testo presente solo in alcune versioni.




IL DIFFIDENTE



La diffidenza è un sospetto di disonestà verso tutti e il diffidente è uno che manda uno schiavo a comperar provviste e un altro schiavo dietro, per scoprire quanto le ha pagate. Egli porta da sé il danaro (1) e a ogni stadio (2) si mette a sedere e conta per vedere quant'è. Alla moglie, quando sono già a letto, chiede se ha chiuso lo scrigno dei soldi, se la cassa del vasellame era stata chiusa e se è stato messo il catenaccio alla porta del cortile; ed anche se lei lo conferma, egli si alza tutto nudo dal letto e scalzo, con una lanterna in mano, corre tutt'in giro e controlla tutto, tanto che riesce appena a dormire. Dai suoi debitori va ad incassare gli interessi con testimoni, così che essi non possano negarglieli (3). Il suo mantello non lo da al miglior cardatore, ma a quello che ha un buon garante. Quando uno va a chiedergli in prestito delle coppe, se può rifiuta, se si tratta di un parente o di un amico, glielo presta solo dopo aver fatto la prova del fuoco (4), averlo pesato e quasi aver ottenuto per esso un garante. Lo schiavo che lo accompagna non lo fa camminare dietro, ma sempre davanti a lui per evitare che se la svigni per strada. Se qualcuno ha comperato da lui una cosa e chiede: «Quanto fa? Segnalo nel libro che ora non ho tempo», riceve come risposta: «Non prenderti la noia di mandarmi il denaro; ti accompagno io finché tu abbia trovato il tempo» .
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1) Di solito esso veniva affidato allo schiavo.
2) Poco meno di duecento metri.
3) I testimoni potranno confermare la sua intimazione di pagare
4) Forse per far controllare che non avevano già lesioni. Alcuni correggono in modo da leggere "dopo avervi inciso il suo nome a fuoco"; soluzione ragionevole se si considera che queste coppe, se venivano pesate, dovevano essere di metallo.



IL VILE



La viltà è una debolezza dell'animo dovuta a paura e il vile è quello che viaggiando per mare scambia gli scogli per navi di pirati. Appena si alzano un po' le onde comincia a chiedere se fra i passeggeri non ci sia qualcuno impuro (1). Poi va dal pilota e vuol sapere se tiene la rotta bene in mezzo (2) e come gli sembra che si metterà il tempo. Al suo vicino dice di essere in ansia per via di un sogno che ha fatto; poi si toglie la tunica (3) e la dà allo schiavo e poi supplica di essere scaricato a terra. Sul campo di battaglia quando la fanteria deve attaccare, chiama tutti vicino a sé e comanda che tutti si schierino attorno a lui e dice che è così difficile riconoscere quali siano i nemici. Se ode clamori e vede qualcuno cadere, dice a chi gli è attorno che per la smania [di combattere] ha dimenticato la spada, corre alla tenda, manda fuori lo schiavo con l'ordine di vedere dove sia il nemico, nasconde la spada sotto il capezzale e perde un sacco di tempo facendo finta di cercarla. Se dalla sua tenda vede portare un compagno ferito, corre da lui, gli fa coraggio e lo trasporta lui stesso. Poi lo cura, gli lava le ferite, si siede accanto a lui, scaccia le mosche e fa qualsiasi altra cosa piuttosto che combattere contro i nemici. Quando la tromba dà il segnale d'attacco, egli rimane seduto nella tenda e dice «alla malora (4), costui non lascia dormire il poveretto con tutto il suo strombettare» . Macchiato del sangue delle ferite altrui, va incontro a quelli che tornano dalla battaglia e racconta come da un grande pericolo «io ho salvato uno dei nostri amici!» e fa entrare nella tenda dal ferito i compagni di paese e di tribù e ad ognuno racconta come sia stato lui stesso a portarlo con le sua mani nella tenda.
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1) E quindi portatore di sventure o menagramo.
2) Cioè lontano dalla costa e dagli scogli.
3) Per nuotare meglio in acqua; tutte azioni contraddittorie.
4) In greco «in malora ai corvi»; come dire «vai sulla forca» .

Da "I CARATTERI" di TEOFRASTO*

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Teofrasto nacque attorno al 371 a. C. in Efeso, sull'isola di Lesbo, e fu il principale allievo e collaboratore di Aristotele, di cui ne continuò la scuola dopo la morte, nel 322 a. C. Morì a 85 anni, circa nel 287 a. C.
L'opera che lo ha tramandato ai posteri sono "I Caratteri", scritta dopo il 319 a. C. ed assistita da costante fortuna nel corso dei secoli.
Per noi è fonte preziosa di informazioni sulla vita quotidiana ad Atene nel IV secolo e, a parte le notevoli qualità artistiche, documento culturale prezioso per farci comprendere l'immutabilità dell'animo umano e l'inevitabità dei suoi vizi e delle sue passioni, nel corso dei millenni.



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