ANDREOTTI INSISTE, INSISTIAMO ANCHE NOI

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INES TABUSSO
00sabato 27 agosto 2005 09:15

www.quaderniradicali.it/agenzia/index.php?op=read&nid=4365
Andreotti a Caselli: Nessuna ombra su sentenza assoluzione. Bongiorno: Assoluzione
inequivocabile


News del 26-08-2005

Non c'è nessuna ''ombra'' sulla definizione del mio processo: il senatore
a vita, Giulio Andreotti, replica cosi' all'ex procuratore di Palermo, Giancarlo
Caselli, che in una lettera pubblicata su ' Giornale' ha ricordato all'ex
presidente del Consiglio come la prescrizione del reato di associazione per
delinquere decisa dalla Cassazione confermi il ''sodalizio criminale'' con
Cosa Nostra.

''Non posso stare una vita a parlare del processo - dice l'ex presidente
del Consiglio all'Adn-Kronos - ma la risposta a Caselli è molto semplice.
Nella sentenza della Corte di Cassazione e' tutto chiarito in modo assolutamente
inequivocabile'', dice riferendosi al ''passo della decisione della Corte
di Appello'' citato dal magistrato.
Andreotti è categorico: ''Basta leggere la sentenza della Cassazione, Caselli
la ignora. E' completamente falso che ci sia questa ombra sulla definizione
del processo''.

?Il caso non esiste. Nessuna ombra sulla sentenza di assoluzione nei confronti
di Giulio Andreotti?. L'avvocato Giulia Bongiorno, legale di Giulio Andreotti,
commenta così a il Velino la lettera di Giancarlo Caselli.
"Meglio di lettere, discorsi e polemiche, valgono le parole della Suprema
Corte alle quali bisogna attenersi. Ricordo che la corte di Cassazione nell'ultima
pagina della sentenza ha posto sullo stesso piano la sentenza di primo grado
emessa dal tribunale di Palermo e quella di secondo grado.

Questo per dire che le due sentenze possono essere equiparate". Un imputato
assolto per prescrizione non puo' "cavarsela a buon mercato" dice Caselli
ricordando il processo di Andreotti celebrato a Palermo: all'imputato erano
contestati i reati di partecipazione ad associazione per delinquere (per
il periodo fino al 28 settembre 1982) e di partecipazione ad associazione
di tipo mafioso (per il periodo successivo). La sentenza di primo grado fu
di assoluzione.
Quella di appello fu, per cosi' dire, divisa: assoluzione per i fatti dal
1980 a oggi e prescrizione per quelli precedenti.

Caselli si serve del pronunciamento della Cassazione per suffragare il proprio
ragionamento, come se la Cassazione avesse fatto proprio solo il giudizio
di secondo grado. Una tesi contestata dalla difesa del senatore a vita.
Per i fatti precedenti al 1980, infatti, la Suprema corte si è trovata davanti
a due sentenze: quella di primo grado di assoluzione e quella di secondo
grado, di prescrizione per una parte dei reati contestati.
Ma i giudici non sono entrati nel merito delle sentenze: non hanno detto
quale delle due "prospettazioni" e quale delle due motivazioni dovesse prevalere.

Insomma, per tradurre in parole semplici, le sentenze dei due gradi di giudizio
possono essere vere l'una o l'altra, ma sempre di assoluzione si tratta.
"La Suprema Corte le ha poste sullo stesso piano - ribadisce l'avvocato Bongiorno
- le due sentenze possono essere equiparate".
(° fonti Adn-Kronos e il Velino )



VEDI INVECE:

Corriere della Sera
3 maggio 2003
IL MAGISTRATO
«Sbagliano, non credo che il processo finisca qui»
Daniela Giglio: provati i rapporti con i boss moderati

DAL NOSTRO INVIATO
PALERMO - Prima, insieme con la sua collega della Procura generale Annamaria
Leone, sfugge ai cronisti e fugge letteralmente dall?aula per evitare di
commentare a caldo la «sconfitta». Poi, nel suo ufficio dove legge e rilegge
il dispositivo dei giudici, ecco Daniela Giglio guastare la festa dell?assoluzione:
«Non credo che il processo sia finito».
Come dire che un ricorso in Cassazione è quasi scontato?
«Non posso affermarlo adesso perché va letta la sentenza, ma è chiaro che
è stata riconosciuta la legittimazione di questo processo e che non c?è una
assoluzione piena».
La Bongiorno grida tre volte «assolto, assolto, assolto».
«E sbaglia. Perché su tutto ciò che sarebbe accaduto prima del 1980 i giudici
non hanno espresso una assoluzione, fermandosi alla prescrizione».
Che lei interpreta come?
«Se c?è prescrizione, la Corte ha ritenuto provata la condotta di partecipazione
di Andreotti fino alla primavera ?80, cioè fino al secondo incontro con il
boss Stefano Bontade di cui parla il pentito Marino Mannoia».
La prescrizione equivarrebbe ad una affermazione dei fatti?
«Hanno ritenuto provato in soldoni il rapporto con l?area moderata della
mafia e non con i Corleonesi: è questa l?unica interpretazione possibile».

Per lei sarebbe quindi provato un prima e dopo nel presunto rapporto fra
Andreotti e mafia?
«Noi ritenevamo che il rapporto si fosse consolidato nel tempo. Per i giudici
d?Appello la torta va tagliata in tanti pezzetti. E per un pezzo il risultato
combacia con la posizione dell?accusa ribaltando la sentenza di primo grado.
Fino al 1980».
Non siamo quindi davanti alla conferma della stessa sentenza di primo grado?

«Assolutamente. E? peggiorativa per l?imputato. E infatti anche l?imputato
di fronte ad una verdetto di questo tipo potrebbe proporre ricorso in Cassazione,
in teoria».
Vi aggrappate al dubbio?
«Il dubbio col nuovo codice non esiste più. Se c?è il dubbio scatta l?assoluzione.
Invece, in questo caso, in parte, scatta la prescrizione, che è cosa diversa.
E la prescrizione presuppone una prova».
F.C.




Andreotti, ma quale assoluzione?
di Marco Travaglio
2 maggio 2003

Ma di quale sentenza stanno parlando? Ma di quale
vanno cianciando? Ma di quale straparlano?
Eppure il presidente Scaduti l?ha detto chiaro e tondo, e tutte le televisioni
l?hanno trasmesso senza rendersi conto di quel che facevano: associazione per delinquere commesso fino alla primavera del 1980 è estinto
per prescrizione>, mentre per l?associazione mafiosa successiva al 1982 si
conferma la prima sentenza: assoluzione per insufficienza di prove. Ora,
lorsignori lo conoscono il significato di ,
di e di ?
E lo sanno quando è scattata la prescrizione di quel reato?
Nel dicembre 2002.
Cioè 22 anni e 6 mesi dopo la primavera del 1980 (quando si svolse l?ultimo
incontro Andreotti-Bontate). Cioè poco più di quattro mesi fa. Il che significa
che la Procura di Caselli (ieri definito e addirittura
da qualche analfabeta) aveva visto giusto quando aveva chiesto e ottenuto
di far processare Andreotti.
E aveva sbagliato il Tribunale ad assolvere l?imputato, sia pure con formula
dubitativa, per il periodo degli anni 70. Infatti, con l?impostazione della
Corte d?appello, nel processo di primo grado (concluso nell?ottobre 1999)
Andreotti sarebbe stato condannato per associazione per delinquere, cioè
per la sua alleanza organica con Cosa Nostra fino al 1980. Cioè per aver
incontrato - come affermavano numerosi collaboratori di giustizia, ma soprattutto
un testimone oculare, Francesco Marino Mannoia ? boss del calibro di Stefano
Bontate, per parlare del delitto Mattarella.
E per aver incontrato anche il boss Badalamenti, come aveva testimoniato
Tommaso Buscetta, avendolo appreso dalla viva voce di don Tano a proposito
del delitto Pecorelli. Insomma, se l?appello fosse finito entro il 20 dicembre
dell?anno scorso, con quattro mesi e mezzo di anticipo, Andreotti sarebbe
stato condannato in base all?articolo 416, cioè all?associazione ,
visto che quella aggravata di stampo mafioso (416 bis) fu introdotta nel
codice penale soltanto nel 1982, con la legge Rognoni-La Torre.
Le sguaiataggini dell?avvocatessa Buongiorno, reduce dai fiaschi di Perugia,
sono comprensibili: doveva gettare un po? di fumo negli occhi ai giornalisti,
nella speranza (in gran parte ben riposta) che non si accorgessero della
prescrizione o fingessero di non vederla. Molto più abbacchiati apparivano
invece i colleghi Gioacchino Sbacchi e Franco Coppi, principi del foro, che
le sentenze le sanno leggere meglio di quanto non riescano a recitare: dev?essere
frustrante per un avvocato difensore passare da un?insufficienza di prove
a una condanna per omicidio a una reformatio in pejus in appello con prescrizione,
e per giunta per il rotto della cuffia.
E? comprensibile anche l?impudenza del senatore a vita, che parla di testimoni e falsi pentiti>, quando il reato ritenuto provato e prescritto
l?hanno raccontato proprio testimoni e pentiti giudicati attendibili dalla
Corte (che lui stesso definisce ).
E? comprensibile, infine, il delirio del cavalier Silvio Berlusconi (<è stato
abbattuto il primo dei teoremi giustizialisti del 1993 che voleva sfigurare
la storia d?Italia>), che ormai usa tutte le sentenze, anche quelle pronunciate
in Australia, siano esse di condanna o di assoluzione o di prescrizione,
per piazzare disperatamente il suo ultimo prodotto avariato: l?immunità parlamentare
per (quella che due settimane
fa lui stesso definiva , beccandosi le reprimende di Andreotti).
Si comprende, infine, la svogliatezza che coglie politici e commentatori
di fronte a sentenze di 6 mila pagine, come quella di primo grado: informarsi
è faticoso, lavorare stanca.
Ma qui basta leggere il dispositivo. Una paginetta, non di più. Con un piccolo
sforzo, si può capire tutto.
E, fatta salva l?ignoranza crassa o la demenza galoppante, si potrebbero
evitare corbellerie come il titolo del Giornale di oggi: era uno scherzo>. O come le autorevolissime scemenze pronunciate ieri dai
presidenti di Camera e Senato, che hanno subito voluto congratularsi col
senatore a vita prescritto.
Casini ha straparlato di (ma forse parlava di onore nel
senso siciliano del termine).
Pera ha farfugliato di una della Dc e dell?Italia> (ma forse si riferiva allo discredito arrecato al
partito e al Paese dalla cinquantennale presenza di uno come Andreotti).
I leader centrosinistri si sono invece affannati a esaltare il
e tenuto dall?imputato.
L?unico concetto che questi tartufi riescono a esprimere, a proposito di
un senatore a vita condannato in appello a 24 anni per omicidio e miracolato
dalla prescrizione e dall?insufficienza di prove per il reato di mafia, è
che si comporta da vero signore. Non dice le parolacce, non sporca, non mangia
con le mani, non si mette le dita nel naso.
Due corti d?appello dicono che ha fatto ammazzare un giornalista, incontrato
e aiutato i capi della mafia, ma è tanto educato e tanto ammodo, signora
mia.





GIORNALE DI SICILIA
29/12/2004
Pag. 10

Palermo. <>

Davvero e' soddisfatta, avvocato Bongiorno? Peró, questa sentenza...

< assoluzione di Giulio Andreotti per i fatti successivi al 1980, con cio'
accogliendo del tutto le nostre tesi. E poi e' migliorativa, nella parte
motivazionale riguardante le accuse dichiarate prescritte, rispetto alla
sentenza della Corte d'Appello di Palermo. La vicenda Andreotti va guardata
globalmente>>

Si riferisce ai due processi al senatore a vita, a Palermo e Perugia?

< di mafia, mossa nel capoluogo siciliano, e contro la pesante imputazione
riguardante l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, che ha visto il senatore
Andreotti sotto processo a Perugia. E si tratta di vicende durate undici
anni>>.

Il bilancio e' di due assoluzioni e una prescrizione. Assolto a Perugia,
con una sentenza della Cassazione che ha cancellato una condanna a 24 anni
in appello. Assolto a Palermo, ma con una sentenza che lascia aperti parecchi
dubbi.

< va guardata nella sua globalita'. Nello specifico le motivazioni della Cassazione
esprimono dubbi su alcune parti della Sentenza della Corte d'appello di Palermo,
in particolare a proposito dei presunti incontri tra l'ex presidente del
Consiglio e i boss mafiosi. Anche a proposito delle dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia si parla di possibili "letture alternative">>.

Pero' i supremi giudici hanno confermato la ricostruzione della Corte palermitana,
definendola logica e razionale.

< dei fatti, cosa che invece hanno fatto i giudici d'appello. Di fronte al
perdurare di una situazione di incertezza, la Suprema Corte ha scelto di
confermare l'applicazione della prescrizione. Che comunque non vuol dire
affermazione di colpevolezza>>.

Lei stessa parla di incertezza. La Cassazione dice che per i fatti anteriori
al 1980 non e' emersa la prova evidente dell'innocenza: e' una sentenza "a-trasi-e-nesci",
che da' un colpo al cerchio e uno alla botte?

< C'erano 42 collaboratori di giustizia che facevano accuse generiche. Li'
dove ci potevamo difendere da contestazioni specifiche, precise, l'abbiamo
fatto. Per il resto difendersi era quasi impossibile. Sa una cosa? Ho fortemente
temuto che uno dei ricorsi venisse accolto e che si dovesse tornare in appello.
Saremmo stati altri tre anni a fare il processo Andreotti...>>
R. Ar.



MARCO TRAVAGLIO
1 gennaio 2005
Concorso ippico

Si è chiuso in Cassazione il processo Andreotti, dopo dieci anni di calvario.
Calvario, ovviamente, per i magistrati di Palermo che, in ossequio alla Costituzione
e al Codice penale, hanno doverosamente processato il senatore a vita. Ora
è il momento delle scuse: ai magistrati di Palermo, s'intende, per l'onda
anomala (o forse «normale») di calunnie e falsità che li ha travolti per
dieci anni, fra i silenzi di chi doveva parlare e le panzane di chi doveva
tacere. Insufficienza di prove gabellata per «formula piena», prescrizione
spacciata per assoluzione, delitti gravissimi ridotti a generiche «responsabilità
politiche» (che poi nessuno, salvo i radicali, ha mai contestato al responsabile).
Ora sappiamo dalla Suprema Corte di Cassazione che la sentenza della Corte
d'appello di Palermo - Andreotti colpevole di associazione per delinquere
con Cosa Nostra fino alla primavera 1980, insufficienza di prove dall''81
al '93 - non era ambigua né contraddittoria né cerchiobottista. Era «esaustiva»,
«logica», «razionale», «argomentata», «dimostrativa degli apprezzamenti di
merito»: cioè dei fatti portati dall'accusa, in base ai pentiti e ai riscontri,
dunque «non censurabile sotto il profilo della motivazione», ergo definitivamente
confermata. Chi - un nome a caso, Berlusconi - ne aveva dedotto che i giudici
sono «matti», «antropologicamente diversi dalla razza umana», dovrebbe farsi
visitare da uno bravo. E chi vaneggiava di «assoluzione», «fine del calvario»,
«bocciatura dei teoremi», «confessione della Procura» dovrebbe cambiare mestiere.
O almeno leggersi le sentenze prima di commentarle. Il presidente dell'Antimafia
Roberto Centaro, autore della relazione in cui si affermava che l'appello
«ha malamente sbugiardato i teoremi d'accusa», dovrebbe avere la decenza
di dimettersi. Un po' di silenzio farebbe bene al rutelliano Beppe Fioroni
(«Andreotti esce a testa alta da accuse infamanti»); al verde Paolo Cento
(che aveva zittito Caselli, reo di aver citato la sentenza di prescrizione
confermata dalla Cassazione e per questo trascinato da Forza Italia dinanzi
al Csm: «Intervento inopportuno perché il processo si è chiuso con l'assoluzione»);
a Enrico Buemi dello Sdi («Caselli si arrampica sugli specchi per difendere
quel che ha fatto. Il processo Andreotti nasce da una pericolosissima confusione
tra responsabilità politiche e penali che attivano processi mostruosi come
questo»); a Ottaviano Del Turco (Sdi), degno predecessore di Centaro («Non
capisco perché una parte della sinistra continui a sottoscrivere una storia
d'Italia come se fosse stata governata per 50 anni da mafiosi e piduisti»);
e a Emanuele Macaluso, che ridacchiava su Andreotti mafioso fino all'80 e
vaneggiava di eventuali «responsabilità politiche, non penali». Ora la Cassazione
conferma che le responsabilità penali c'erano, consacrando per sempre il
verdetto che dichiara Andreotti colpevole di «partecipazione all'associazione
per delinquere» (non concorso esterno, peggio) fino al 1980.
La garrula avvocatessa Giulia Bongiorno ha perso anche in Cassazione (rigettato
il suo ricorso, condannato il suo cliente alle spese processuali), ma continua
a strillare che ha vinto lei: «Un netto miglioramento della precedente sentenza,
con dubbi e perplessità in merito ai presunti incontri». Forse ha letto un'altra
sentenza: questa critica addirittura i giudici d'appello per aver accreditato
troppo generosamente il «recesso» di Andreotti dalla mafia in assenza di
«fatti positivi». Stupisce il commento dell'avvocato Coppi, non degno di
una persona seria come lui: «I pentiti accusano Andreotti guardacaso dopo
la morte di Falcone, che li avrebbe arrestati per calunnia». Falcone che
arresta Buscetta e Mannoia è difficile immaginarlo, anche perché gli avevano
sempre detto la verità (Buscetta aveva anticipato nel 1983 le accuse contro
Andreotti a Dick Martin, il pm di New York che aveva lavorato con Falcone
sulla Pizza Connection).
Ma dopo la mazzata della Cassazione i professionisti della disinformafia
tacciono imbarazzati. Resiste, ottuso e solitario come il palo della banda
dell'Ortica, il senatore Fragalà (An): «La sentenza dimostra la natura politica
e strumentale dell'indagine avviata da Caselli che pretendeva di riscrivere
la ?vera storia d'Italia? con l'inchiostro rosso del pregiudizio e dell'interesse
di parte». Lo smentisce persino il Giornale che, essendo Lino Jannuzzi chiuso
per ferie, si affida a una giornalista, Anna Maria Greco, che le sentenze
le sa leggere: «Dunque la sentenza si basava su fatti concreti che provano
i legami, fino al 1980, dell'ex statista Dc con Cosa Nostra? Al centro c'è
l'incontro di Andreotti con il boss Stefano Bontate». Tace anche Bruno Vespa,
che s'è appena fatto dettare la storia d'Italia da Andreotti (a quando una
storia della "mafia vista da vicino", a quattro mani?). Giuliano Ferrara,
che ancora venti giorni fa inseriva Andreotti fra i martiri dei «fallimenti
di Caselli», se la cava con quattro righe quattro sul Foglio. Per molto meno,
all'estero, i giornalisti si dimettono e si danno all'ippica. In un gruppo
così prodigo di cavalieri e stallieri, non mancano le chances.




LA REPUBBLICA
Carta Canta
Ma quale assolto
di Marco Travaglio

da Repubblica - 16 ottobre 2004

Ecco alcuni stralci della sentenza della Corte d'appello di Palermo del 2
maggio 2003 su Giulio Andreotti, imputato di associazione mafiosa, confermata
oggi dalla Corte di Cassazione:

Giulio Andreotti ha "commesso" il "reato di partecipazione all'associazione
per delinquere" (Cosa Nostra), "concretamente ravvisabile fino alla primavera
1980", che però è "estinto per prescrizione".

Nel 1979 Andreotti scende a Catania per incontrare il boss Stefano Bontade
che minaccia la vita di Piersanti Mattarella: "Frena l'impeto dei mafiosi,
prende tempo, li rassicura additando una soluzione "politica'". Poi torna
a Roma e non fa assolutamente nulla. Non avverte nemmeno Mattarella della
minaccia incombente. Bontate fa trucidare Mattarella nel gennaio '80.

Nella primavera '80 Andreotti torna in Sicilia (stavolta a Palermo) da Bontade,
dopo il delitto Mattarella per "chiedere chiarimenti". Bontade risponde "con
arroganza". Andreotti capisce che "era stato un grave errore immaginare di
poter agevolmente disporre dei mafiosi e di guidarne le scelte imponendo,
con la propria autorevolezza e il proprio prestigio, soluzioni incruente
e "politiche" ai problemi insorti, era stato un abbaglio assegnare alla mafia
il riduttivo ruolo di strumento di ordine e di controllo della criminalità...
era stato, in definitiva, un grave errore intrattenere buone relazioni con
i mafiosi, chiedere loro qualche favore, indurre in essi il convincimento
di poter contare sulla sua amicizia".

Andreotti, per anni, "ha indotto i mafiosi a fidarsi di lui e a parlargli
anche di fatti gravissimi (come l'assassinio di Mattarella) nella sicura
consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati, ha omesso
di denunciare le loro responsabilità, malgrado potesse, al riguardo, offrire
utilissimi elementi di conoscenza".

Andreotti aveva una "propensione a intrattenere personali, amichevoli relazioni
con esponenti di vertice di Cosa Nostra", per garantirsi "la possibilità
di utilizzare la struttura mafiosa per interventi extra ordinem... forme
di intervento para-legale che conferisce, a chi sia in possesso dei canali
che gli consentano di sperimentarle, un surplus di potere rispetto a chi
si attenga ai mezzi legali".

Nel caso Mattarella Andreotti "non si è mosso secondo logiche istituzionali,
che potevano suggerirgli di respingere la minaccia all'incolumità del presidente
della Regione facendo in modo che intervenissero per tutelarlo gli organi
preposti e allontanandosi definitivamente dai mafiosi, denunciando a chi
di dovere le loro identità e i loro disegni". Ma ha "dialogato con i mafiosi
e palesato la volontà di conservare le amichevoli, pregresse fruttuose relazioni
con essi".

Andreotti "indica ai mafiosi le strade da seguire e discute con loro di fatti
criminali gravissimi da loro perpetrati... senza destare in essi la preoccupazione
di venire denunciati", poi "omette di denunciare elementi utili a far luce
su fatti di particolarissima gravità, di cui è venuto a conoscenza in di-pendenza
di diretti contatti con i mafiosi". Così la mafia si rafforza e i boss si
sentono, "anche per la sua autorevolezza politica, protetti al più alto livello
del potere legale".

"E' condivisibile che i mafiosi si siano determinati ad alzare il tiro su
un così eminente esponente del partito di maggioranza relativa (Mattarella,
ndr) anche perché supponevano di non incorrere in conseguenze pregiudizievoli
in quanto contavano sull'appoggio di ancora più importanti personaggi politi-ci
(Andreotti e Lima, ndr)".








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