I primi giorni di febbraio a Catania

csssstrinakria
00martedì 5 febbraio 2013 21:29
La festa si sant'Agata

Alcuni interessanti aspetti di questa "festa".

LA PROCESSIONE
Ogni anno Catania offre alla sua patrona una festa che è un'orgia di colori, di fuochi, di costumi e di tradizioni pagane. È paragonata alla settimana santa di Siviglia o al Corpus Domini di Cuzco, in Perù. In questi giorni la città dimentica ogni cosa per concentrarsi sulla festa, misto di devozione, paganesimo e di folklore, che attira ogni anno sino a un milione di persone, tra devoti e curiosi.
Nel profondo inconscio dei catanesi rivive la tradizione che da dieci secoli prima del cristianesimo era in voga a Catania, come in tutto il mondo mediterraneo, in onore della vergine-madre Iside egiziana
Il terzo giorno è riservato all’offerta delle candele. Un' usanza popolare vuole che i ceri donati siano alti o pesanti quanto la persona che chiede la protezione. Alla processione per la raccolta della cera, un breve giro dalla fornace alla cattedrale, partecipano le maggiori autorità religiose, civili e militari. Due carrozze settecentesche, che un tempo appartenevano al senato che governava la città, e undici "candelore", (deriva dalla somiglianza del rito del Lucernare, di cui parla Egeria: "Si accendono tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima" (Itinerarium 24, 4), con le antiche fiaccolate rituali che si facevano nei Lupercali (antichissima festività romana che si celebrava a febbraio) o simulacri di enormi falli in erezione che costituirono i simboli religiosi dei primi culti pagani.
Questi simulacri sono affidati a gruppi di portatori (due corporazioni, sempre in "guerra" hanno la gestione di questi fercoli).
Il compito precipuo di questi portatori è quello di ballare davanti alle botteghe dei munifici cittadini.
Questa prima giornata di festa si conclude in serata con un grandioso spettacolo di giochi pirotecnici in piazza Duomo. I fuochi artificiali e la sontuosità delle luminarie durante la festa di sant’Agata, riportano alla mente le tradizioni di Iside!
Uno dei caratteri salienti di questa festa era la grande illuminazione notturna; la gente attaccava un'infinità di lampade ad olio fuori delle case e le lampade bruciavano tutta la notte. Questa usanza si osservava in tutto l'Egitto.
Per la cittadinanza, invece, assume un significato particolare, perché ricorda che la patrona, secondo quel che si racconta, martirizzata sulla brace, vigila sempre sul fuoco dell’Etna e di tutti gli incendi.

FINE PRIMA PARTE

www.youtube.com/watch?v=hTOEjkOy0Pw
csssstrinakria
00mercoledì 6 febbraio 2013 10:33
II Parte.

Il 4 febbraio segna il primo incontro della città con la santa Patrona. Già dalle prime ore dell'alba le strade della città si popolano di "cittadini". Una fantasmagorica processione di iniziati in camice bianco, un camice votivo di tela bianca, indossato dalle migliaia di fedeli durante i 5 giorni del tradizionale rituale, lungo fino alla caviglia e stretto in vita da un cordoncino, il tradizionale "saccu". C'è da dire che si tratta di un capo di vestiario africano, la veste bianca di lino trasparente che portavano i ministri e gli iniziati di Iside e che Silio Italico descrisse per averla notata addosso ai sacerdoti del tempio di Gades: "Con la barba e i capelli rasati, vestiti con una tunica bianca di lino senza cintura, avvolti da una larga fascia ricamata, con berretto simile a un fez". Silio Italico, Punica libro III, pagg. 23-27.
E appunto, i devoti portano in testa un berretto di velluto nero rotondo, senza visiera, la versione sicula del fez, la cosiddetta còppula nera. A completamento del loro abbigliamento non mancano i guanti bianchi e sventolano un fazzoletto anch'esso bianco stirato a fitte pieghe. Naturalmente, la chiesa cattolica volle e potè sostituire il dettaglio orientale della superba fascia ricamata con un cordone bianco, simbolo dell'apparente conversione dei suoi testardi fedeli.
Anche a Roma questo culto, così come lo vediamo raffigurato nelle pitture di Pompei e di Ercolano, con i suoi sacerdoti tonsurati e imberbi, vestiti con una specie di camice, rassomigliava molto a quello in uso dai devoti di sant'Agata.
C'è da dire che la chiesa cattolica tentò di disperderne in Sicilia la tradizione storica, propalando la leggenda che i catanesi portassero il "saccu" in memoria di un intervento miracoloso della "vergine martirizzata", la quale avrebbe fatto loro la grazia di sfuggire al terremoto in camicia da notte.
Altre leggende vogliono che l'abito rappresentasse l’abbigliamento notturno che i catanesi indossavano quando, nel lontano 1126, corsero incontro alle reliquie che Gisliberto e Goselmo riportarono da Costantinopoli. Col tempo, l'originario camice da notte, nei secoli, si è arricchito anche del significato di veste penitenziale: secondo alcuni l'abito di tela bianca è la rivisitazione di una veste liturgica, il berretto nero ricorderebbe la cenere di cui si cospargevano il capo i penitenti e il cordoncino in vita rappresenterebbe il cilicio.
Il "giro", la processione del giorno 4, dura l'intera giornata. Il fercolo, la reliquia conservata nell'argenteo sarcofago attraversa i luoghi del martirio e ripercorre le vicende della storia della "santuzza" (come viene chiamata dai catanesi). Una sosta viene fatta anche alla "marina" da cui i catanesi, addolorati e inermi, videro partire le reliquie della santa per Costantinopoli. Poi una sosta alla colonna della peste, che ricorda il "miracolo" compiuto da sant'Agata nel 1743, quando la città fu risparmiata dall'epidemia. I "cittadini" guidano il fercolo tra la folla che si accalca lungo le strade e nelle piazze. In quasi cinquemila trainano la pesante macchina. Tutti rigorosamente indossano il sacco votivo e a piccoli passi, tra la folla, trascinano il fercolo che, vuoto, pesa 17 quintali, ma, appesantito di Scrigno, Busto e carico di cera, può pesare fino a 30 quintali. Durante la processione odierna, a ritmo cadenzato e agitando bianchi fazzoletti, dal petto dei "fedeli" erompe spesso il grido di "Cittadini!" a cui fa eco quello ancora esaltante e collettiva di "Viva sant'Agata!" o "cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti, cittadini, viva sant'Agata". Ennesima affermazione della legge invariabile della fatalità storica dell'inconscia identificazione dell'impulso razziale.
Questo grido non è meno irrazionale o più mistico dell'altro di "Viva Iside!" che risuonò per venti secoli sulle labbra dei medesimi componenti del gruppo etnico, ed attraverso la conoscenza dei meccanismi ipoabulici ed iponoici e delle manifestazioni sessuali vicarianti, la psicopatologia è in grado di spiegarne il fenomeno isterico suggestivo di massa.

Fine II Parte.
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