LETTERE A "L'UNITA'": IL LEGALE DELL'ASSOCIAZIONE FAMIGLIARI VITTIME AMIANTO SCRIVE A SOFRI

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INES TABUSSO
00mercoledì 2 agosto 2006 12:10

L'UNITA'
2 agosto 2006
Lettere
L’indulto
e il processo Eternit

Gentile dott. Sofri,
sono giunto con qualche ritardo a conoscenza degli articoli da Lei scritti sul Foglio e sull'Unità in risposta a quello di Marco Travaglio pubblicato da Repubblica e ripreso dall'Unità, relativo agli effetti dell’indulto sui processi per reati in danno della vita e dell’integrità fisica dei lavoratori. Essendo direttamente coinvolto nella vicenda di cui l’articolo trattava (processo Eternit), credo siano doverose alcune mie precisazioni:
1) Le confermo che i fatti riportati da Marco Travaglio si sono svolti così come descritti. E di ciò, se sarà necessario, sarà agevole fornire prova nelle sedi opportune.
2) Circa, invece, le opinioni, contenute nell’articolo e relative alle prevedibili conseguenze dell’indulto sulle cause penali che hanno per oggetto violazioni delle norme in tutela della salute dei lavoratori, queste sono, appunto, opinioni e non pretendo certo che siano da tutti condivise. Mi permetta, però, di suggerirLe alcuni spunti concreti di riflessione:
a) Si è chiesto perché la Fiom, la CGIL, le più importanti associazioni di famigliari di vittime del lavoro si siano pronunciate univocamente e anche con durezza, per ottenere lo stralcio di tali reati dall’indulto? Un motivo ci dovrà essere (tutti disinformati, tutti estremisti, tutti forcaioli o, forse, non avevano tutti i torti?)
b) Si è chiesto perché tali reati, per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, siano stati inseriti in un provvedimento definito indulto ma tecnicamente piuttosto simile ad un’amnistia? E ciò malgrado non uno, ripeto nemmeno uno, dei responsabili di tali reati languisse nelle patrie galere?
c) Si è chiesto quali saranno gli effetti concreti dell’indulto su tali processi? Secondo me, ma, ancora una volta è un’opinione, renderanno più difficile e in non pochi casi impossibile per le vittime (che sono socialmente più deboli degli imputati) ottenere il riconoscimento dei loro diritti. Il nostro sistema, prima dell’introduzione del “bonus” di tre anni anche per i processi ancora da celebrare, si reggeva, in genere, su un equilibrio così riassumibile: per patteggiare e/o ottenere l’attenuante di «avere risarcito il danno» occorreva, appunto, risarcire. Chi non si adoperava, secondo la sua concreta condizione economica, per farlo rischiava il carcere. Oggi, esclusivamente grazie all’estensione dell’indulto a tali reati, il rischio del carcere -stimolo al risarcimento viene a cadere. L’equilibrio si è rotto. In favore di chi?

Sergio Bonetto, legale dell’associazione Famigliari Vittime Amianto di Casale Monferrato







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