Nonostante tutti i maggiori network facciano come sempre finta di niente, in Bolivia é in atto una rivolta popolare dei nativi (80% della popolazione) contro i soliti sfruttatori, proprietari bianchi, multinazionali e nazioni straniere, La rivoluzione punta ad una nazionalizzazione delle risorse boliviane che oggi fanno guadagnare gli investitori stranieri e le multinazionali e di riportare dignità al popolo legittimo padrone a casa sua, segue un interessante articolo da www.erroneo.org
E' iniziato lo scorso settembre il confronto sociale in Bolivia tra il presidente in carica Gonzalo Sanchez de Lozada ed Evo Morales,
presidente del Movimiento al Socialismo. Il popolo insorge stanco dello sfruttamento e della miseria... il 13 Ottobre migliaia di persone entrano nella capitale La Paz chiedendo una Bolivia libera!
di Luca Gelardi
Il conflitto sociale attualmente in atto in Bolivia nasce intorno all'esportazione del metano, risorsa economica tra le più importanti del paese sudamericano, uno dei più poveri della regione.
Al governo neoliberale del presidente Gonzalo Sanchez de Lozada si oppone il
Movimiento al Socialismo (MAS) del cocalero Evo Morales, che accusa l'attuale governo di stare attuando un autogolpe militare per garantire l'approvigionamento di metano al Cile. L'intervento dei militari è stato necessario (secondo il governo) per respingere le proteste della popolazione nei confronti dell'esportazione del metano.
Secondo Morales dietro le azioni di Sanchez de Lozada stanno gli interessi delle multinazionali del petrolio che starebbero organizzando una via di transito, tramite un porto cileno, del metano boliviano in Messico e soprattutto Stati Uniti; tale esportazione farebbe guadagnare milioni di dollari a questi stati e una minima parte allo Stato boliviano. Queste dichiarazioni rilasciate a metà settembre sono state ovviamente subito smentite dal governo, tramite il ministro Yerko Kukoc, inasprendo così lo scontro sociale.
Edward Miller, della British Gas e responsabile del progetto, ha dichiarato che l'affare comporterebbe un introito di oltre un miliardo e 300 mila dollari, di cui solo 70-80 milioni di dollari annui andrebbero alla Bolivia. Queste dichiarazioni portarono lo scorso 19 settembre al primo passo della resistenza popolare nei confronti di Sanchez de Lozada ad opera dei sindacati e delle organizzazioni sociali e popolari.
In questa manifestazione, 150 mila boliviani hanno occupato per la prima volta le più importanti città del paese chiedendo le dimissioni del presidente Sanchez de Lozada. Le richieste della popolazione sono stati di annullare, entro un mese (19 ottobre), gli accordi per l'esportazione del gas con il consorzio Pacific LNG, formato dalle multinazionali Repsol-YPF, British Gas e Panamerican Gas (succursale della British Petroleum).
Il confronto si è aggravato a sud di La Paz con l'intervento militare a difesa degli interessi governativi, a cui i manifestanti, con a capo "Mallku" Felipe Quispe, dirigente di una confederazione di contadini, hanno risposto con il lancio di pietre: è stato questo il primo passo verso lo scontro aperto.
Tra le dichiarazioni più significative degli esponenti delle organizzazioni popolari troviamo quelle di Jaime Solares della Central Obrera Boliviana (COB) che dice "Prima di esportare il metano, dovremmo usarlo per i boliviani, per l'industria e l'industrializzazione il paese". Per le manifestazioni i preparativi fremono e gruppi di attivisti del MAS e sindacalisti girano nelle città e nei quartieri popolari chiamando il popolo alla resistenza. L'obiettivo è stato fin dall'inizio mobilitare le masse a La Paz e Cochabamba (principali città del paese).
La reazione del governo non si è fatta tuttavia attendere e l'indomani (20 settembre), forze di polizia ed esercito hanno provocato duri scontri con il risultato di 5 morti (4 civili, tra cui una bambina di 8 anni, e un militare) e circa 20 feriti. Secondo la versione ufficiale dei militari lo scontro è avvenuto a causa dello sfondamento da parte di una colonna di mezzi militari di un blocco stradale piazzato dai manifestanti. La reazione di questi ultimi avrebbe portato i morti e i feriti, ma da parte dei manifestanti si chiedeva solamente la liberazione di un dirigente del movimento contadino.
Questi gravi scontri hanno portato a fine settembre ad una crisi dell'intero sistema politico, aggravato dalla sempre peggiore situazione economica. I contadini hanno dichiarato guerra aperta alle forza militari e paramilitari governative e la situazione nella capitale La Paz così come in altri grandi centri, mostrava gruppi di soldati appostati ai lati delle strade pronti ad aprire il fuoco nei confronti della popolazione.
Lo scontro aperto ha portato alcuni gruppi di contadini, soprattutto nella zona di Achacachi, a prendere in mano le armi, così da creare una resistenza armata sotto la guida di "Mallku" Felipe Quispe. L'azione è stata fin da subito appoggiata dal COB, dal MAS e dalle altre organizzazioni sociali. Questo movimento armato dei contadini, applicando tattiche di guerriglia, ha innescato conflitti a fuoco continui con le forze armate per il controllo delle vie di comunicazione principali del paese, le grandi strade dell'altopiano boliviano, tra La Paz e Cochabamba. Lo scopo era indebolire l'egemonia territoriale del governo di Sanchez de Lozada.
A fronte di questi nuovi sviluppi il 24 settembre la Central Obrera Boliviana (COB) ha richiamato allo sciopero generale, per cercare di mettere in ginocchio il governo e farlo tornare indietro sui suoi passi rispetto alla guerra del metano. In seguito il movimento armato dei contadini del "Mallku" Felipe Quispe ha deposto le armi accettando la tregua del governo di fine settembre, al fine di evitare ulteriori scontri armati e nuovi morti. A questo il governo ha risposto con nuovi attacchi e da lì si è innescata una guerra mediatica tra ciò che racconta il governo e quello che realmente succede, cioè lo sgombero delle strade e delle città ricorrendo anche alle armi da parte dei militari.
A inizio ottobre, in seguito al continuo movimento e alle nuove reazioni da parte della popolazione, il presidente Gonzales Sanchez de Lozada si è barricato nel suo palazzo difeso dalle forze militari. Per diversi giorni il terreno di scontro tra le organizzazioni sociali e il governo si è spostato nuovamente sui mezzi d'informazione, ultimo baluardo del presidente. Tuttavia nello stesso tempo migliaia di persone, contadini, minatori, operai e studenti si sono incamminati da tutto il paese verso la capitale La Paz, per stringere il cerchio di protesta intorno al governo.
Il 9 ottobre in reazione a questo movimento ancora l'esercito provoca una carneficina nei confronti dei minatori e degli allevatori, gli strati sociali più poveri del paese. Il risultato è stato di 2 morti e 8 feriti tra la gente che chiedeva la testa del presidente Sanchez de Lozada.
Il governo ha continuato a rispondere alla reazione popolare aprendo deliberatamente il fuoco sui manifestanti, inviando forze militari corazzate a sfondare i blocchi stradali e liberare le vie di comunicazione. il 12 ottobre parte l'ultima (fin'ora) grossa offensiva dell'esercito boliviano contro la popolazione, senza l'esclusione dell'uso di armi pesanti, granate e carri armati, per riprendere il controllo della capitale La Paz.
Dopo 36 ore di scontri, nonostante il parziale (e temporaneo) guadagno di terreno da parte dell'esercito, appoggiato anche dal governo degli Stati Uniti che ha inviato aiuti militari, la popolazione insorge sempre di più, chiamata alla resistenza dai capi delle organizzazioni sociali: tutti chiedono la testa del presidente Gonzales Sanchez de Lozada.
Al momento Gonzales Sanchez de Lozada si è rifugiato negli Stati Uniti mentre Il suo vice presidente Carlos Mesa Gisbert ha preso il suo posto. Dichiarato ammiratore di "Goni", egli ha oggi il compito di amministrare oggi il disastro umano e politico della Bolivia.
La questione è delicata perchè come dice l'analista indipendente Carlos Arze, il metano potrebbe essere un grande mezzo (e forse l'ultimo) per risanare l'economia disastrata della Bolivia. Ma all'interesse nazionale e popolare si oppone quello personale dei dirigenti governativi e delle multinazionali del petrolio, visto che le riserve di gas in Bolivia, secondo gli esperti, ammonterebbero a circa 80 miliardi di dollari.
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