Napoli simao noi di Giorgio Bocca (avviso chi avrà il coraggio di leggere che sarà una cosa lunga)

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poeta76
00domenica 12 marzo 2006 15:59
Napoli siamo noi di Giorgio Bocca (avviso chi avrà il coraggio di leggere che sarà una cosa lunga)
Ho appena finito di leggere Napoli siamo noi, un libro di Giorgio Bocca, giornalista piemontese di 86 anni, personaggio famoso ed apprezzato, anche da me che rispetto a lui sono un ignorante.
Libro molto interessante nel quale sono scritte molte verità.
Un ragionamento a parte meriterebbe un personaggio ricorrente: il giudice Agostino Cordova. Magistrato d’indubbie capacità (chi vuole si documenti), persona degna, ripeto, che l’autore “richiama” spesso nei capitoli del libro, difendendo il suo nome come una madre apprensiva il figlio suo integerrimo, fino a farlo sembrare quasi un martire. Anzi, oserei dire che sembra l’unica persona onesta che vive a Napoli, assieme a due giornalisti e l’intera redazione napoletana de “ La Repubblica” (che Bocca ringrazia per la collaborazione, credo).
A parte questa considerazione, ci sono altre cose che mi hanno colpito.
Per tutto il libro, l’autore non fa altro che evidenziare, infierendo, sul modo di vivere dei napoletani, sulla napoletanità (che sembra essere l’ottavo peccato capitale) e sulle conseguenze che secoli di questo modo di vivere hanno portato. Puntualizzando che se anche qualcuno a Napoli svolge un normale lavoro o una normale attività, lo fa sempre, di fondo e per abitudine, in modo illecito e, sinceramente, mentre leggevo la mia ignoranza mi ha portato ad esclamare mentalmente: Né! Ma tu a Napule che ce vai a fa?
Riporto qui di seguito, la parte finale del 5° capitolo, dal titolo, “La rivoluzione fallita”.
Un altro vizio napoletano cui neppure i comunisti del rinascimento sono riusciti a sottrarsi è stato quello della tolleranza complice per cui tutto viene concesso, tutto perdonato perché “pur isso adda campà”. E per sistemare tutti, per rispondere a tutte le richieste il vecchio (per capire tra le righe come vengono usati certi aggettivi bisognerebbe leggere tutto il libro) che si è riusciti a cacciare ritorna peggio di prima.
È possibile a Napoli pranzare in educato silenzio, magari prendendo appunti di quel che dice il tuo commensale? No, non è possibile, perché “pur isso adda campà”. Isso è uno (uno… uno perché è forse un napoletano e in quel contesto) con la chitarra che si avvicina al tuo tavolo, sorridendo fra i sorrisi affettuosi dei camerieri suoi amici. Chiamo lo chef, gli dico che vorrei stare tranquillo, che devo lavorare. Lavorare a tavola? Mandar via il posteggiatore? Ne nasce un piccolo dramma. Chef e camerieri sono sbalorditi, non possono credere che qualcuno non gradisca le canzoni napoletane e che mandi via uno che “pur isso adda campà”. La notizia del fatto empio si diffonde, altri camerieri e cuochi escono dalla cucina e guardano increduli, il cantante con la chitarra se ne va lentamente come un perseguitato. Per fortuna il terrazzo del ristorante è molto lungo. Trova un gruppo d’inglesi che gradiscono “a Marechiaro ce sta…”, e va avanti per un’ora. Il personale da quella sera mi guarda in modo diverso.
E per forza gli inglesi gradiscono. All’estero è abbastanza normale è piacevole un posteggiatore nei ristoranti, luogo dove abitualmente ci si va per puro piacere e non per lavoro, è un personaggio ritenuto caratteristico. È anche vero che molti affari si concludono a tavola, ma è una metafora per dire che questo avviene proprio perché la tavola è un luogo di rilassamento e condivisione, dove ci sta bene anche un romantico violinista tzigano, che nel concetto nulla ha di diverso rispetto ad un posteggiatore con la giacca e il volto liso dal tempo. O forse, Signor Bocca, lei ha mai visto imprenditori tirare fuori contratti da firmare al ristorante? Senza considerare che se il mio commensale tirasse fuori il blocchetto per gli appunti al tavolo, lo riterrei una persona decisamente maleducata, che per codice di buona educazione ha come modello “Quarto potere” di Orson Wells.
Da quella sera l’hanno guardato male, Signor Bocca? E pensi che nessuno di loro aveva ancora letto il suo libro ricolmo di feroci e giuste critiche. Peccato Signor Bocca, che lei si da la zappa sui piedi, perché critica si giustamente chi non svolge un lavoro normale oppure facendo il “normale” in modo illecito, ma critica anche una persona anziana, come lei del resto, che cerca di guadagnarsi la pagnotta. Si la pagnotta, in modo onesto e semplice sfruttando quelle poche capacità che ha e che l’ambiente in cui vive gli consentono, magari disturbando un po’, è vero. Ma certo, cosa può saperne lei?! Lai ha il suo bel lavoro che la porta a mangiare nei ristoranti senza curarsi se il conto sarà salato o non. Però, guarda caso, da chi viene apprezzato questo vecchio, questo uno? Viene apprezzato, udite udite! Da un gruppo di inglesi: popolo notoriamente altezzoso verso tutto ciò che non è anglosassone, vedendo quella persona per quella che è: uno strimpellatore e non un camorrista travestito. Sono pronto a scommettere che questo gruppo di persone hanno fatto quello che avrebbe dovuto fare lei, cogliendo l’occasione di un gesto di signorilità da parte sua, dimostrando un minimo di tolleranza e non quello di fare la voce grossa e lo sguardo torvo da un libro dove nessuno può replicare, cioè infilare la mano in tasca ed estrarla con due o tre €, accompagnati da un sorriso che chissà se ha mai trovato la strada (mi perdoni il gioco di parole) della sua bocca.

Per chi non ha letto il libro, segnalo anche il 33° capitolo “La metastasi”. Ne riporto un tratto.
L’economia camorrista che impedisce lo sviluppo reale. La crescita vera di lavoro e di ricchezza trova due sfoghi altrettanto sterili. Quello della malavita che brucia, ti consuma finchè sei giovane, e la guerra: il 90 percento dei volontari dell’esercito sono meridionali di province mafiose. Idem per la polizia che la camorra corrompe in vari modi, in varie gradazioni.
“Lo sanno tutti,” dice un giovane di Scampia, “che quando ‘Ciruzzo’ Di Lauro fa scaricare una partita di droga vuol dire che prima ha sentito i poliziotti amici suoi, soltanto dopo che quelli hanno dato il via fa arrivare e scaricare a Secondigliano.” Contenere la corruzione è difficile, reprimerla è impossibile. Sette poliziotti sono stati arrestati nel 1998 per corruzione flagrante, ma il loro processo è continuamente rinviato. Bisogna accontentarsi di guardarla, la corruzione. Come la guarda quel padre di famiglia che rivela al cronista Roberto Saviano: “Dico solo che mio figlio vuole fare il poliziotto da quando ha visto uno del commissariato con la Kawasaki e l’Audi TT”
la corruzione delle forze dell’ordine, dicevamo, è a livelli diversi. Quello strategico punta addirittura alla costituzione di un comitato politico. Militare, mafioso, un vera e propria “cupola” di cui fanno parte capiclan, ufficiali dei carabinieri che posso arrivare al grado di generale e avere rapporti con ambienti politici e costituzionali. Ancora una spiegazione all’ostracismo a un magistrato incorruttibile come Cordova che, non contento di indagare sulla mafia, si occupava anche delle associazioni segrete come la massoneria più o meno deviata.
Dunque è chiaro: quando la prossima volta verrò fermato da un poliziotto o un carabiniere potrò sapere se si tratta di un pubblico ufficiale corrotto oppure no, mi basterà stare attento alle sue inflessioni dialettali, se il suo accento sarà da Formia o Termoli in giù, allora avrò di fronte un agente corrotto. Anche quando mi capiterà di andare all’estero, se saprò di qualche agente corrotto, allora sarò sicuro che si tratta di un mio connazionale: meridionale però!
Resta comunque una certezza: in caso una mattina ci svegliassimo e trovassimo questo pese in balia di un colpo di stato, al contrario di ogni altro paese al mondo, non sarà stato compiuto dall’esercito o forze di polizia, ma da meridionali. Che primato!

Alla fine del libro, quando credevo, non con la mia ignoranza ma con i miei anni di gavetta, di sapere qualcosa, ne ho scoperto una di nuova, ho scoperto che Napoli, la mia Napoli nella quale non vivo più da giusti trent’anni, non è una città, no, è un cancro. Questo è scritto nel 34° capitolo: l’ultimo, “Le false cure”.
Quando diciamo che Napoli siamo noi non vogliamo semplicemente dire che il “modello Napoli” con l’aumento della ricchezza, delle comunicazioni, della tecnologia, può diventare fra non molto, il modello vincente in Italia. La macchina dei soldi per assistenza, corruzione, delinquenza, vince sicuramente dove lo stato è diretto dai corrotti, dai parassiti della finanza pubblica, dai demagoghi, dai mentitori. Per dire che Napoli resterà tal qual o peggiorerà, se vincerà anche da noi il capitalismo, senza principi e senza raziocinio, la controrivoluzione che questa volta arriva da oltre atlantico. Gia ora Napoli mi è parsa peggiorata, disposta all’infamia più che nel passato. Intellettuali progressisti che mi hanno attaccato selvaggiamente, solo perché ricevo dalle istituzioni sovvenzioni con le motivazioni culturali più varie, consulenti della pubblica dissipazione, portaborse del ladrocinio, foglie di fico della corruzione camorristica. Senza pudore, senza ritegno nell’accusare chi li critica di menzogne, diffamazioni e complotti. Ma stia buona con il complottismo la Russo Jervolino, stiano buoni gli indignati ufficiali dell’establishment se un osservatore forestiero racconta solo un decimo, solo un centesimo delle ignominie locali e può raccontarle anche perché sono la copia conforme di quelle delle altre regioni italiane. È il governo del capitalismo ladro che ci ritroviamo, che gli italiani hanno votato, se Napoli è quello che è, insanguinata e lorda di immondezze, altro che G8 a Castel dell’Ovo, altro che le metropolitane in stile moscovita ornate di marmi lucenti in mezzo alla miseria!
Quale sia la cura efficace per Napoli e per l’Italia non lo sappiamo, anche se ci andiamo convincendo che non potrà essere una cura all’acqua di rose. Ma sappiamo quali sono le false cure. Non lo è quella della città divisa fra intellettuali e popolo senza nome: gli intellettuali che cambiano costume, bandiere e linguaggi ma sono sempre d’accordo per spartirsi il denaro pubblico, i pubblici onori. Rivoluzionari e riformatori che tengono i piedi in entrambe le scarpe pur di spartirsi amichevolmente il bottino, avversi alla mafia che spara, ma suoi complici nei grandi affari e nella gestione di un’informazione che ha trovato quest’idea geniale: occuparsi quasi ossessivamente degli scippi e degli omicidi tra poveracci e ignorare le grandi truffe locali, nazionale e internazionali della borghesia al potere.
Non è una cura la napoletanità, il folclore che copre l’insipienza e il disordine, la finta solidarietà che copre il perdurante sfruttamento dei deboli. Questa napoletanità risulta francamente repellente, indegna di una grande città civile. Non è una buona cura neppure il ricatto separatistico o pro bono pacis: mandateci soldi, molti soldi se no spacchiamo tutto perché questa è una rivolta da lazzaroni. Che cosa allora? Forse rinunciare alla rivoluzione dei proletari che non ci sono più e puntare su quella dei giovani che ci sono e che non ne possono più di vivere da ladri e da bugiardi, qui e nel resto di Italia, che vogliono essere cittadini di un paese civile.
Bene, questo cancro si chiama Napoli e attenzione che non infetti il resto dell’Italia tutta. Certo si potrebbe creare un muro che divida in due quest’Italia (che diciamoci la verità proprio i piemontesi hanno voluto unire), ghettizzando il sud, così che in una sorta di quarantena della durata di qualche secolo, questo muro eviti di infettare e corrompere il civile e corretto nord. Questo nord dove si protesta cruentemente per la costruzione di un’avveneristica linea ferroviaria, dove gli agricoltori con i loro trattori invadono le autostrade per protestare contro la Comunità Europea per le quote latte, in una stregua, anche da parte loro di “mandateci soldi, molti soldi se no spacchiamo tutto”, questo civile nord dove si accoltellano i tifosi avversari fuori dagli stadi, dove quando c’è uno sciopero dei camionisti i colleghi che non vogliono aderire sono costretti a farlo, pena considerevoli danni ai loro mezzi. Questo nord dove nella sua letteratura si trovano chiare tracce di atteggiamenti mafiosi (l’innominato dei Promessi Sposi, tante per fare un esempio). Questo nord che durante l’unificazione dell’Italia, ha fatto sparire dal Regno delle due Sicilie, tonnellate di beni sotto forma di oro e oggetti preziosi sottratti in nome del loro Re, per non parlare delle violenze verso le popolazioni e degli stupri verso le donne, durante il passaggio di quel glorioso esercito del Regno d’Italia, compostosi si strada facendo di popolazioni del sud, ma guidati e controllati da pseudo-ufficiali dei Savoia. Ma in questo caso va tutto bene, perché sicuramente per tutti questi esempi, e mi limito a pochi ma che abbracciano più di 150 anni della nostra storia, sicuramente, dicevo, per tutti questi esempi c’è una spiegazione logica: il sacrosanto diritto di far valere le proprie ragioni a qualunque costo.

Giorgio Bocca, in questo libro e precisamente nel 29° capitolo: “La napoletanità indignata”, lamenta che un suo collega giornalista degli anni sessanta presso il “Giorno”, tale Ermanno Rea, lo accusa di razzismo.
“Alla civile risposta di La Capria (altro giornalista) segue sul “Mattino” di Napoli una grandinata d’insulti da Ermanno Rea. Da non crederci, l’ho conosciuto negli anni sessanta al “Giorno”: un collega intelligente, amabile, ma la napoletanità può far delirare. Ciò che scrivo su Napoli “è l’invenzione di una vecchia scarpa littoria carica di nostalgia”. Nostalgia di che, del fascismo? Ma non mi conosce, non è stato mio compagno di lavoro? Evidentemente no, se dice che sono “un razzista senza se e senza ma. Che quasi quasi tira in ballo la forma del nostro cranio per dimostrare che il difetto è nel manico; pregiudizi gia sentiti sulle città che mischiano antropologia e luoghi comuni”.Capito Signor Rea? Lei era persona amabile e intelligente, ma poi ha avuto da ridire delle opinioni del Signor Bocca e quindi adesso ha perso quelle due qualità.
Ma io non sono giornalista e nemmeno colto e in questo momento non m’interessa minimamente se sono o no intelligente e amabile e quindi la devo redarguire Signor Rea, perché è stato avaro nei confronti del Signor Bocca dandogli solo del razzista: avrebbe meritato molto di più.
Di sottile ironia la dichiarazione della Jervolino. “Abbiamo capito che Napoli deve morire, ma adesso facciamo gli scongiuri e tutto passa”.

Spero che adesso quello che sto per scrivere non si trasformi in una sorta di messaggio pubblicitario e che induca qualcuno ad acquistare questo “libro”, per carità.
Prima da napoletano e poi da italiano, mentre leggevo questo libro, la mia ignoranza mi portava a farmi mille domande, quando poi ho finito di leggerlo e l’ho chiuso, l’ho girato, e sul dorso della copertina, la mia stessa ignoranza mi ha dato la risposta. Quando si dice che un’immagina vale più di mille parole…

N.B. Gli eventuali errori che chi legge troverà nelle righe riportate da questo libro, sono esistenti.


M A X
_________________________________
I ricordi sono le liane della vita e noi i tarzan, che aggrappandoci ad esse...la percorriamo.
(MAX)

[Modificato da poeta76 13/03/2006 13.39]

NightOfPlenilune
00giovedì 16 marzo 2006 08:48
Con tutto il rispetto per l'autore trovo che il suo libro abbia un'utilità pari a quella di un fermaporte.
Ho il mio concetto di napoletanita' che nasce dalla frequentazione dei miei amici per il 90% napoletani e dei miei ex partner per il 90% napoletani nonchè per le capatine nella bella Napoli [SM=g27836] e via dicendo. Ma la mia visione seppur comprendendo delle critiche riguardo alcuni comportamenti a mio avviso spiacevoli e ormai consuetudinari si discosta terribilmente (ma con piacere) da quelle che sono le considerazione del presunto 'trattato'.
In primis perchè trovo le succitate considerazioni razziste e discriminatorie e non avrei altre parole con cui esprimermi ed in secondo luogo perchè ormai la contrapposizione nord e sud dove al sud si troverebbero i delinquenti mentre al nord solo persone pulite lavoratori e massaie intenti a mantenere anche il sud si è trasformata in leggenda metropolitana. Tanto piu' che da brianzola mi tocca dire che a livello di scambi interpersonali qualsiasi luogo è migliore di questo dove vieni solo misurato a seconda della capienza del tuo portafogli. Dove esistono casi di violenza famigliare commessi da persone che di cognome fanno 'Colombo' e non 'Lo Cascio' dove si commettono anche crimini ben diversi e piu' gravi dove i bambini vengono abbandonati nei sacchetti dell'immondizia dove si organizzano truffe a descapito di anziani e disperati e dove quindi si specula sulla sofferenza altrui e via dicendo. Quindi direi che la contrapposizione nord e sud si potrebbe usare solo come barzelletta.
Per il resto al signore in questione consiglierei di trovarsi un hobby migliore visto e che considerato che di razzisti ne abbiamo già tanti ed uno in piu' che peraltro scriva e riesca a pubblicare non ci serve proprio.

poeta76
00giovedì 16 marzo 2006 18:24
dei miei ex partner per il 90% napoletani

Ehm...Liv...manca un 10%...certi vuoti diventano spazi troppo grandi e immensi. Il 10% che semnbra una percentuale irrisoria potrebbe essere invece quello che manca per coronare una vita di ricordi e soddisfazioni, il completamento dello spirito.
Se pensi che possa esserti d'aiuto in qualche modo...
[SM=g27827]: [SM=g27835] [SM=g27827]: [SM=g27835] [SM=g27827]: [SM=g27835]
NightOfPlenilune
00venerdì 17 marzo 2006 20:51
Max mi fai piegare!!!!! [SM=g27828] [SM=g27828] [SM=g27828] [SM=g27828]
poeta76
00sabato 18 marzo 2006 12:59
Ehm...muble...muble...
muble...muble...
muble...muble...
muble...muble...
muble...muble...
Max mi fai piegare!!!!!
muble...muble...
muble...muble...
muble...muble...
Max mi fai piegare?????
muble...muble...
muble...muble...
muble...muble...
[SM=g27833]
Aaaaaaah!!! si!!! [SM=g27836] [SM=g27836] [SM=g27836]

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