Traghetti leggeri e ponte M2

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giacomo415
00lunedì 11 agosto 2008 19:54
Questo post è dedicato ad una sommaria illustrazione del materiale leggero M2, da ponte e da traghetto, di origine statunitense, che è stato a lungo in servizio nel nostro esercito.

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Adottato dall’U.S. Army nel corso del secondo conflitto mondiale, vide il primo impiego operativo dopo gli sbarchi alleati in Europa e continuò ad essere utilizzato anche in Corea.

Per la portata e le modalità di impiego, se non per le caratteristiche tecniche, possiamo considerarlo pari classe del materiale inglese FBE (Folding Boat Equipment), del quale si è già parlato nelle pagine del forum.

A differenza di quanto avvenne per molti modelli di veicoli, di armi da fuoco e di artiglierie, ereditati dal Regio Esercito e mantenuti in servizio nel nuovo Esercito Italiano, il materiale da ponte già in uso presso il nostro Genio, nel suo complesso e senza eccezioni, scomparve completamente e senza lasciar traccia dopo il conflitto.

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Il fatto va addebitato alla vetustà concettuale, più che materiale, dei modelli impiegati, tutti risalenti almeno al primo conflitto mondiale, con l’eccezione del Ponte di Equipaggio N. 3 adottato negli anni ’30 e destinato al ruolo di ponte pesante. Nonostante la recente adozione questo equipaggio, nato quando già negli altri paesi si pensava ai ponti come ai migliori amici dei carri, metteva orgogliosamente al vertice delle proprie possibilità la capacità di sopportare il transito della vettura obice da 305, cioè la “cosa” più pesante (19 tonnellate) presente nell’intera armata ad indicare come da noi la modernità della guerra che si stava per combattere non fosse stata compresa pienamente.

Scomparso nel nulla il materiale nostrano, nei primissimi anni del dopoguerra furono gli inglesi a fornire gran parte dell’occorrente per rimettere in piedi i nostri reparti. Fu così che insieme agli Enfield, ai Bren, ai cannoni da 25 libbre arrivò anche l’FBE, che venne assegnato al Genio Pionieri delle Divisioni di Fanteria. Era un materiale attuale, non modernissimo, comunque esattamente lo stesso che era in servizio in quel momento nell’esercito britannico ma durò poco.
Con l’adesione del nostro paese all’Alleanza Atlantica e con l’arrivo di consistenti forniture militari provenienti dagli Stati Uniti fu il materiale M2, di cui ora ci occupiamo, ad essere distribuito al Genio divisionale e a soppiantare rapidamente le barche pieghevoli britanniche.

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Ad onor del vero dobbiamo riconoscere all’FBE un più elevato contenuto tecnico con la presenza di cavalletti per la realizzazione di strutture miste, con l’uso di giunti regolabili e di efficienti imbarcatoi per operare anche da sponde non preparate, di contro il materiale americano era molto meno raffinato, di una semplicità quasi disarmante, di rapido montaggio e con un numero di parti accessorie bassissimo. Altra cosa che vorrei sottolineare, se ancora ce ne fosse bisogno, è la straordinaria qualità delle produzioni militari americane di quei tempi, testimoniata dalla longevità operativa di queste piccole barche.

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Di costruzione completamente lignea vedeva l’impiego di parti in lamiera metallica solo negli angolari posti a protezione di spigoli e bordi, in acciaio erano poi i pochi elementi secondari come perni, spine, staffe e, naturalmente, gli ancorotti.

Con questo materiale era possibile approntare:
- traghetti leggeri;
- passerelle pedonali e per motoveicoli;
- ponti leggeri cl. 5;

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L’elemento base era il galleggiante costituito dal barchetto d’assalto M2.
Aveva forma squadrata con prua rastremata, fondo piatto e poppa quadra. Di concezione semplice ed estremamente efficiente poteva essere trasportato rovesciato ed impilato sul cassone dei normali autocarri medi dove se ne potevano sovrapporre in sicurezza fino ad 8 esemplari. Veniva scaricato e trasportato a braccia da una squadra di otto uomini.

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Era lungo m. 4,08, largo m. 1,78 al bordo superiore e alto m. 0,63. Pesava 230 Kg ed era l’elemento più pesante di tutto l’equipaggio.

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Per la struttura era impiegato un multistrato in faggio e mogano con spessori variabili tra i 12 ed i 19 millimetri. Il fondo presentava esternamente per tutta la lunghezza della barca tre suole di rinforzo in rovere mentre lungo i bordi superiori e la prua correva un parabordo piatto (piattobordo) che sui fiancali presentava sia delle aperture per agevolare la presa a mano sia dei distanziatori metallici ribaltabili destinati a mantenere in posizione le guide impiegate per l’impalcata. A prua era invece ricavato un alloggiamento per l’attacco del motore.

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La poppa quadra consentiva l’accostamento e la giunzione di due barchetti per formare un unico barcone M2. La giunzione avveniva tramite due cerniere di collegamento poste sui bordi verticali della poppa di ciascun barchetto, una volta accostate bastava infilarvi l’apposita spina d’acciaio per garantire sufficiente rigidità al complesso.

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Il barchetto singolo era mosso in acqua a forza di remi, il barcone invece poteva essere dotato di motore fuoribordo da fissarsi indifferentemente su una delle due prue dei barchetti, ora diventata poppa del barcone.

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Il genio USA utilizzava all’uopo motori fuoribordo con asse verticale mentre da noi si continuarono ad usare i più pesanti fuoribordo Mascheroni FB2/4 con asse in linea.

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Questi propulsori erano dei quattro cilindri “boxer”, di 1.800 centimetri cubici, con distribuzione a valvole laterali, la potenza erogata era di 37 cavalli.
Come ben illustrato dalla foto il serbatoio, avente una capacità di 16 litri, era in blocco con il motore ed il peso complessivo dell’unità raggiungeva, a secco, i 145 Kg.

Per ogni motore era previsto un set di tre eliche intercambiabili dal passo differente, onde poter meglio sfruttare la potenza disponibile nelle diverse condizioni di impiego.

Il barchetto aveva un equipaggio di tre uomini, il pilota stava inginocchiato a poppa e con la sua pagaia governava il galleggiante in direzione mentre gli altri due, inginocchiati uno per ciascun fianco, vogavano anch’essi muniti di pagaie.
Oltre i tre uomini di equipaggio era possibile trasportare dodici fanti completamente equipaggiati o un carico di peso equivalente. La dotazione di bordo comprendeva nove pagaie, era quindi possibile avere fino ad otto rematori in azione contemporaneamente, cosa che assicurava una buona mobilità sebbene fosse vietato l’uso del galleggiante sciolto con correnti superiori a metri 1,5 al secondo.

Il barcone M2 che, come abbiamo visto, era formato dalla congiunzione di due barchetti quando già questi si trovavano in acqua, era governato allo stesso modo, aveva portata quasi doppia ed era utilizzabile in sicurezza, con riduzione della portata, anche in acque con velocità della corrente fino a 2,5 metri al secondo.

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Il suo sfruttamento più efficace era senz’altro ottenuto con il montaggio del motore fuoribordo ma restava salva, comunque, la possibilità di impiegare le pagaie anche se la difficoltà di coordinare il movimento di un numero così rilevante di vogatori non doveva essere cosa da poco.

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I barchetti d’assalto ed i barconi M2 costituivano il primo mezzo per far giungere aliquote organiche di uomini e materiali sulla riva lontana, quando non si fosse ritenuto necessario il gittamento di un ponte Treadway, oppure durante la preparazione degli scali e delle vie d’accesso per lo stesso Treadway.

Con il materiale M2, era inoltre possibile approntare traghetti e ponti leggeri anche se, per le sue caratteristiche, l’M2 era destinato a ricoprire prevalentemente il primo ruolo, cioè quello di traghetto leggero.

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Il traghetto di tipo normale era costituito da tre barconi e tre coppie di guide, aveva la denominazione di traghetto leggero N. 1 (cl. 5) ed era un natante manovrabile e di facile approntamento che consentiva il passaggio di autovetture da ricognizione e di autocarri leggeri.
Con cinque barconi e quattro coppie di guide si realizzava un traghetto di maggior classe ma di minore manovrabilità denominato traghetto leggero N. 1R.
Con sette barconi e cinque coppie di guide si costruiva un traghetto di classe ancora più elevata ma di manovrabilità minima, denominato traghetto leggero N. 1RR.
L’aumento della classe del traghetto consentiva più che un aumento del carico ammesso, non si andava oltre gli autocarri medi, un aumento della velocità della corrente affrontabile.

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I traghetti leggeri erano normalmente propulsi con motori fuoribordo, solo eccezionalmente ed in acque calme era possibile prevedere l’impiego di pagaie.

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Per la costruzione dei traghetti, oltre ai galleggianti già descritti, venivano impiegate delle guide, anch’esse lignee, costituite da una serie di travetti longitudinali di larice rivestiti da un involucro di usura in compensato. Ai due capi delle guide i travetti spuntavano dal rivestimento con delle estremità dette dita, opportunamente intervallate e munite di fori per il passaggio delle spine di collegamento onde consentirne l’incastro in elementi successivi, formando così il piano viabile.

L’unione tra due guide successive poteva essere rigida, a formare l’impalcata, congiungendo a fondo gli incastri ed inserendo due spine per volta, oppure a cerniera congiungendo le due guide, ma non incastrandole, ed utilizzando una sola spina di collegamento. Era possibile in questo modo avere delle rampe ribaltabili onde agevolare l’imbarco e lo sbarco dei veicoli.

Ogni guida aveva una larghezza di m. 0,92, uno spessore di m. 0,18 ed una lunghezza totale, dita comprese, di m. 4,27. gli spigoli longitudinali erano rivestiti da cantonali di lamiera da un millimetro di spessore lungo tutta la loro lunghezza, il peso era di 180 Kg. ed il trasporto a braccia era effettuato da otto uomini.

Le guide erano prive di bordature e pienamente reversibili, una volta unite a formare l’impalcata era previsto l’uso di travetti di ghindamento destinati ad irrobustire la struttura e a delimitare la carreggiata.
I travetti erano in legno di abete ed avevano una lunghezza di 4 metri con una sezione di cm. 10x15.
Il collegamento rigido tra barchetto, guida e travetto si otteneva mediante le staffe di ghindamento che poi erano dei semplici morsetti a C.
L’impiego normale prevedeva un piano viabile composto da due guide separate e parallele con i travetti di ghindamento posti all’interno della carreggiata.

In casi particolari era possibile comunque allestire un piano viabile completo e continuo impiegando tre serie di guide affiancate, in questo caso, per motivi di spazio, i travetti di ghindamento erano fissati lungo i bordi esterni.

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Come detto il traghetto leggero N. 1 era formato da tre barconi e da tre coppie di guide a cui dovevano aggiungersi, se necessarie, le rampe ribaltabili formate da altre due coppie di guide.
Il trasporto di tutti gli elementi necessari per la costruzione e degli accessori necessari era effettuato mediante l’impiego due autocarri medi.

La lunghezza totale, rampe escluse, era di m. 10,95, la carreggiata massima era di m. 2,64, quella minima di m. 0,96.
La propulsione era affidata, normalmente, a due fuoribordo montati sui barconi esterni, in caso di corrente oltre i 2,5 m/s era buona norma prevedere un terzo motore di rinforzo sul barcone centrale.
In acque calme era possibile andare alla voga impiegando una forza di 14 pagaiatori.
L’equipaggio normalmente era composto da un sottufficiale e da 10 uomini che salivano a 14 nel caso si rinunciasse alla propulsione a motore.
Nello specchio sopra riportato sono indicate le posizioni ed i ruoli dei membri dell’equipaggio.

In condizioni ottimali (possibilità di far giungere i due CM fino allo scalo di montaggio, da allestirsi su una piazzola di almeno m. 10x10, scalo di montaggio a sua volta posto in corrispondenza di una sponda a dolce pendenza) era possibile provvedere all’allestimento ed al lancio utilizzando una squadra di 10 uomini comandati da un sottufficiale.

Nel caso in cui lo scarico degli autocarri non potesse essere effettuato sullo scalo di montaggio e, in più, fosse ritenuta la necessità di occultare il montaggio alla vista ed al fuoco nemico occorreva prevedere l’impiego di maggiori aliquote di personale.

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Pur essendo a tutti gli effetti materiale da ponte, a causa della sua leggerezza, semplicità e per la mancanza di cavalletti ed elementi di rampa, l’impiego come ponte durante la sua carriera fu solo residuale e ad ulteriore conferma della scarsa vocazione al compito si aggiunga che il sistema di ancoraggio previsto era quello volante, mancando nella dotazione dell’equipaggio il necessario per l’ancoraggio sul fondo.

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L’ancoraggio volante era realizzato con un cavo d’acciaio teso fra le rive opposte ed ancorato al terreno, la necessità di tenere in ogni condizione il cavo sollevato dall’acqua imponeva l’uso di cavalletti di circostanza nel caso in cui le sponde non fossero state sufficientemente alte. Ogni barcone era poi singolarmente collegato al cavo di ormeggio, si tenga presente che oltre all’ancoraggio a monte andava sempre previsto anche un ancoraggio a valle soprattutto per contrastare l’azione del vento, che non è detto debba seguire la direzione della corrente.

Nell’immagine che precede vediamo che dalle prue dei barconi, sulla sinistra, si dipartono i cavetti tesi verso il cavo di ormeggio.
Si noti anche come si fosse, in questo caso, provveduto al rinforzo del ponte con l’incremento dei barconi impiegati, particolare facilmente riscontrabile dalla ridotta distanza laterale tra i galleggianti ritratti nella foto, ben inferiore a quella prevista dalle istruzioni circa l’impiego normale del ponte (precisamente m. 1,80 tra l’asse longitudinale dei barconi nel ponte rinforzato contro i m. 3,05 del ponte normale).

Queste righe concludono l’esame dei ponti d’equipaggio in dotazione al nostro esercito nel periodo compreso tra il dopoguerra e gli anni ’70.
Se interessati potete ritrovare le altre discussioni sui ponti galleggianti ai seguenti link: FBE (Folding Boat Equipment), M2 Treadway, Classe 60 ed infine il Krupp-Man.

Anche se il mio lavoro è amatoriale e ha caratteristiche stilistiche ed iconografiche che definirei “alla buona” si è comunque avvalso di alcune fonti che avrebbero meritato miglior frutto di quello da me prodotto, mi corre dunque l’obbligo di ringraziare alcuni amici che con cortesia e competenza hanno reso possibile la realizzazione di questa serie di interventi.

[SM=x75484]

In primo luogo l’insostituibile e pazientissimo montagnino Alessandro, che ha messo a disposizione buona parte della manualistica italiana da me utilizzata, a seguire gli amici Francesco e Lorenzo che con quella disinteressata generosità tipica dei veri appassionati hanno in varie occasioni scambiato con me informazioni e materiale di grande interesse. A tutti loro va il mio ringraziamento e spero anche il vostro, se avete trovato interessanti queste letture.

A presto [SM=x75448]
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