Come promesso nella discussione relativa ai km di agosto, mi appresto a raccontarvi la scoperta a pedali di un piccolo angolo di Corsica centrale. Non si tratta né di giri epici, quanto a chilometraggio e dislivelli, né di colli particolarmente duri, ma le immagini (ne sono certo) e le mie parole (spero) potranno rendervi partecipi dell’emozione del pedalare in solitudine in una terra tanto selvaggia quanto ricca di opportunità ciclistiche.
Cominciamo con il primo itinerario: si tratta di un anello di 46km, per 900 m di dislivello e tre salite. Punto di partenza è la cittadina di Corte, altitudine 430 m, antica capitale della Corsica indipendente e tuttora roccaforte dello spirito nazionalista corso. È una domenica mattina inoltrata, e si presenta l’occasione di prendersi il resto della mattinata per esplorare un po’ la zona; la giornata è splendida, cielo terso, caldo secco, mai fastidioso. Dal centro di Corte prendo in direzione nord e, sul finire del centro abitato, imbocco sulla sinistra la D18, seguendo le indicazioni per Castirla. Tra Corte e Castirla c’è di mezzo un valico dal toponimo curioso e misterioso: la Bocca d’Ominanda (654 m) che mette in comunicazione la conca di Corte con la valle del fiume Golo. Qui vediamo appunto il valico, fotografato dalla cittadella di Corte in una giornata diversa ma caratterizzata da un meteo ugualmente spettacolare.
Si sale con pendenze pedalabili (4 km per 214 m di dislivello), su una strada abbastanza larga che, con curve e semicurve (mai tornanti) punta decisa verso nord risalendo in costa sul lato orientale della valle, piuttosto arido al contrario dell’altro versante. Ombra poca. Traffico scarsissimo: queste strade sono fatte per chi abita i luoghi o per chi ha voglia di esplorarli, non per chi è di passaggio. Qui sotto, un tratto della salita: si intuiscono l’andamento della strada verso il valico e la differenza di vegetazione tra un versante e l’altro, e si intravedono alcune cime della dorsale corsa, che purtroppo non so identificare.
Pedalo e mi godo la strada metro per metro, cercando di assaporare ogni sensazione. Giunto al valico, però, un “brusco risveglio”: foratura, e non sarà purtroppo l’unica di questo agosto. Cominciamo bene! Se per caso vi foste trovati a passare di lì in quel momento, ecco la scena a cui avreste assistito. Notate soprattutto l’accogliente rifugio posto sul valico. Mi viene in mente, nello scrivere, che questa è la prima foto che inserisco della nuova bici (Cinelli Willin’ SL 2010): lei avrebbe meritato un trattamento migliore, ma tant’è. E comunque (ve ne accorgerete) ci sarà tempo per rimediare, per metterla in posa come si deve.
Con qualche difficoltà per mancanza degli attrezzi giusti, dimenticati a casa, cambio la camera d’aria e riparto, ma non prima di aver dato un’occhiata al di là dello scollinamento, dove inizia la discesa verso Castirla e Ponte Castirla (309 m).
La discesa è piacevole e filante. Si attraversa Castirla con due stretti tornanti, e si plana nella valle del fiume Golo. All’incrocio con la D84, che percorrerò al ritorno, si va a sinistra, e al successivo bivio si prende a destra (di nuovo D18) per la seconda ascesa di giornata, la Bocca d’Arbitru (o Col d’Arbitru o, ancora, Croce d’Arbitru, 664 m). Per la cronaca, andando a sinistra si affronterebbe il Col di Verghju, uno dei valichi più famosi della dorsale. La salita a Bocca d’Arbitru ha, in comune con la Bocca d’Ominanda, la pendenza (6,4 km per 319 m di dislivello) e la direzione (nord), ma la strada è abbastanza diversa. Intanto è più stretta. Il traffico, da scarso, si fa inesistente. E poi offre tratti chiusi alternati ad altri decisamente panoramici. L’ombra rimane poca, anche se la zona è più boschiva. Qui si è da soli, punto. Tanto che un po’ di timore l’ho avuto: sono passato dal semplice pensiero “Se qui buco di nuovo, non ho camera d’aria di scorta e sarà dura spiegare come venirmi a prendere”, al più pessimista “Se qui mi capita qualcosa, chissà quando mi recuperano”. Meglio andare avanti e godersi lo splendido panorama, suvvia.
La Bocca d’Arbitru è un colle su cui è posto un quadrivio. Anzi, sembra il paradigma del quadrivio: quattro strade in cima, una cappellina, un cartello segnaletico. Fine. Nessun altro segno di umana presenza. Andando diritti si può proseguire sulla D18 per Popolasca (che a dispetto del nome non conta più di 40 anime); a sinistra, con strada a fondo cieco, si sale in località Castiglione; a destra (e sarà la strada che prenderò) si prosegue in costa sulla D118 per un paio di chilometri fino al paese di Prato di Giovellina, ma non prima di aver immortalato il panorama in direzione sud (quella da cui provenivo).
Una volta attraversato il paese di Prato di Giovellina, ci si tuffa in discesa verso Francardo, lungo un nastro d’asfalto stretto ma ben tenuto che discende con curve e contro-curve un arido lato di montagna, attraversato anche da “lu trenu”, famoso trenino che collega Bastia ad Ajaccio. Prima di buttarsi a ruote in giù, però, vale la pena volgere lo sguardo indietro, verso il paese appena lasciato alle spalle.
Giunti a Francardo, per rientrare a Corte si potrebbe percorrere la N193, ma lo sconsiglio perché la strada presenta caratteristiche quasi da superstrada, e con tanti percorsi così selvaggi come quelli appena fatti, sarebbe un peccato non approfittarne ancora un po’. Risalgo allora la valle del Golo e mi riporto verso Ponte Castirla, da cui attacco la Bocca d’Ominanda dal versante sud, prima percorso in discesa. Di nuovo le pendenze sono pedalabili (7 km per 309 m di dislivello), ma con il sole a picco dell’ora di pranzo si fanno sentire. Giunto di nuovo alla Bocca, non mi rimane che planare in scioltezza verso Corte, dove rientro a casa.
Tra qualche giorno, vi racconto un altro giro!