lodo arbitrale sui procedimenti disciplinari

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marco panaro
00sabato 11 marzo 2006 16:23
Cassazione Sezione Lavoro n. 4025 del 23 febbraio 2006, Pres. Ciciretti, Rel. Amoroso

In base all’art. 7 St. Lav. il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può impugnarla davanti a un collegio di conciliazione e arbitrato composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo, o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell’Ufficio del lavoro. La decisione del collegio ha natura di lodo arbitrale irrituale. Essa è impugnabile davanti al Tribunale, quale giudice di unico grado, avverso la cui decisione è ammesso soltanto il ricorso per cassazione.

Il lodo arbitrale irrituale (ex art. 7 legge n. 300 del 1970) è impugnabile soltanto per vizi della manifestazione della volontà negoziale e non anche per nullità, ai sensi dell’art. 829 cod. proc. civ. Dalla affermata natura di arbitrato irrituale della procedura consegue che in sede giudiziale non è più ammessa la sindacabilità delle valutazioni di merito affidate alla discrezionalità degli arbitri, mentre rimane salvo il controllo dell’autorità giudiziaria sia sull’esistenza di vizi idonei ad inficiare la determinazione degli arbitri per alterata percezione o falsa rappresentazione dei fatti, sia sull’osservanza delle disposizioni inderogabili di legge ovvero di contratti o accordi collettivi. Il lodo, emesso a seguito di arbitrato irrituale, non è censurabile in ordine alla ricostruzione e valutazione delle circostanze di fatto e alla loro riconducibilità ad una fattispecie di illecito disciplinare. Pertanto, se gli arbitri accertano in via di fatto i presupposti per l’applicazione di una sanzione disciplinare nei confronti di un dipendente in conformità della previsione della contrattazione collettiva, non è possibile che tale apprezzamento di fatto sia successivamente rimesso in discussione con l’impugnazione del lodo, salva l’ipotesi in cui quest’ultimo – che ha natura strettamente negoziale – sia affetto da un vizio della volontà, quale l’errore, la violenza, o il dolo; ossia rileva solo l’errore sostanziale o essenziale (artt. 1428 e 1429 cod. civ.), che attiene alla formazione della volontà degli arbitri e che ricorre quando questi ultimi abbiano avuto una falsa rappresentazione della realtà
marco panaro
00mercoledì 24 gennaio 2007 19:44
Cassazione Sezioni Unite Civili n. 412 del 12 gennaio 2007, Pres. Ianniruberto, Rel. Segreto

La pronunzia arbitrale ha natura di atto di autonomia privata compiuta da soggetti il cui potere trova la propria fonte, non nello ius imperii, ma nell’investitura loro conferita dalle parti, per cui il lodo non è assimilabile ad una pronuncia giurisdizionale. Di conseguenza, la devoluzione della controversia ad arbitri si configura come rinuncia all’azione giudiziaria e quale scelta della soluzione della controversia sul piano dell’autonomia privata. Corollario di tale impostazione è che l’eccezione di nullità del compromesso o della clausola compromissoria per il fatto che la controversia non possa essere deferita ad arbitri pone una questione, non di giurisdizione, ma di merito, essendo attinente alla proponibilità della domanda giudiziale. I predetti principi sono stati estesi anche al caso in cui il patto preveda un arbitrato estero: in tal caso, infatti, le parti hanno rinunciato ad ogni tipo di giurisdizione, sia essa italiana o straniera.
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