Voglio raccontarvi la storia di mio nonno Angelo, io i nonni non li ho conosciuti, ho solo un vaghissimo ricordo di questo nonno, morto, disteso sul letto, mi ricordo un nasone enorme ed aquilino.
La sua, avventurosa, storia mi è stata raccontata da mio padre e mia madre.
Nonno Angelo era figlio di due 'maccheronì' di Ischia, nacque a Philipville in Algeria dove i suoi genitori si erano spostati da Marsiglia, e dove avevano impiantato una fabbrica di mattoni.
I genitori erano discendenti di una delle più antiche famiglie di vasai dell'isola, si dice, fin dai tempi della Magna Grecia, quindi non si fecero problemi, i mattoni servivano per la novella colonia, pare che rendessero niente male.
Ma al giovane Angelo, o Angelon, come lo chiamavano, di passar la vita a fare mattoni proprio non andava giù, così scappò di casa e si arruolò nella Legione straniera, in quei tempi era in atto la guerra contro Menelik III, e lui da legionario vi partecipò, conosceva già il francese, l'italiano e l'arabo, nella legione imparò anche il tedesco ed il russo.
In un villaggio dell'interno, dove era d'istanza, gli venne la gloriosa idea di rapire una ragazza da un harem, una ragazza circassa per l'esattezza, la ragazza intabarrata era a prendere l'acqua, senza che, mio nonno, le chiedesse alcun ché, la ragazza gli si avvicinò e gli offrì dell'acqua, gli toccò una mano e gli disse sussurrando in francese: "Aiutami!"
Bastò questo a far scattare in mio nonno l'idea di diventare un salvatore di pulzelle, la notte stessa si introdusse nell'harem e la portò via.
Il rapimento provocò non solo l'ira del signorotto locale, padrone dell'harem, ma di tutto il villaggio, immagino solo la parte maschile, però.
Il comandante della guarnigione messo alle strette riuscì a rintracciare mio nonno e la sua bella, restituì la ragazza al suo 'proprietario' e gli promise che avrebbe fucilato mio nonno.
Il comandante la guarnigione però non aveva nessuna intenzione di fucilarlo e, poiché il padrone dell'harem non conosceva, il rapitore, inscenò una falsa fucilazione e presentò al signorotto il cadavere di un altro povero legionario, morto in combattimento.
Ma i gradi superiori erano stati informati, non si poteva fare finta di niente, così mio nonno venne sbattuto fuori dalla Legione senza tanti riguardi.
Tornato mestamente a casa, a mio nonno non rimase altro che fare gli odiati mattoni.
Ma qualche tempo dopo conobbe una ragazza toscana, dagli occhi chiari e dalla risata argentina, la sposò, ed aprirono a Boufarik un'altra fabbrica di mattoni, ebbe da lei due femmine e poi si trasferirono in, quella che per loro era la mitica, Italia, qui ebbero altri due figli maschi.
Ma era il 1915, mio nonno partì per la grande guerra, se la fece tutta.
Quando finalmente ritornò nel '18, imperversava la Spagnola, arrivò a casa col suo zaino ed un mazzo di fiori per la sua sposa, ma a casa non trovò nessuno.
Chiese a una vicina, questa con le lacrime agli occhi gli disse che a sua moglie le avevano fatto il funerale il giorno prima. Fu preso dalla rabbia e lanciò il suo zaino sul tetto della casa, dove rimase per sempre, vi confesso che da ragazzo andai a cercarlo, era ancora là, era solo un ammasso informe, da cui spuntava un angolo di una gavetta, non lo toccai neanche, lo lasciai là, monumento al dolore, ma forse adesso non esiste più neanche la casa.
Mio nonno i fiori li portò al cimitero, morendo, mia nonna, aveva lasciato mia madre , che era la maggiore, di dieci anni e l'ultimo nato di tredici mesi. Quindi tutti insistevano perché, il nonno, si risposasse, cosa che fece, come si usava allora, dopo il periodo di lutto.
La guerra e la febbre Spagnola non gli avevano portato via solo la moglie, ma gli avevano lasciato tanta povertà, si arrangiava con mille mestieri, muratore, cavatore di tufo, pescatore, bracciante…
Dalla nuova moglie ebbe un maschio ed una femmina, mia madre intanto per poter vivere ed aiutare la famiglia andò presso dei cugini che avevano una pensione e delle terme, faceva la cuoca.
All'età di vent'anni mia madre si sposò con un giovane possidente irpino che andava a passare le vacanze a Ischia, un tipo mingherlino che si presentò con paglietta e bastone di canna, alla famiglia di mia madre dicendo: "Sono un giovine serio! Ho vent'anni e ventimila lire di dote! Vi chiedo il permesso di sposare Filomena!" (non ci badate, una coincidenza)
Mia madre era innamoratissima di questo giovane che a Ischia si era guadagnato, fra i parenti di mia madre, il soprannome di 'Spilapipp'' (scovolino da pipa) .
Mio nonno era contento, perché i ragazzi si volevano bene, e se la figlia andava a star bene, lui era felice, ma gli zii erano contrari: che la nipote povera diventasse ricca, li innervosiva un po', e poi così si perdevano una cuoca che lavorava venti ore al giorno!
Ma mia madre la spuntò, come avrete capito (se no chi cavolo scriveva 'sta storia), e seguì suo marito in Irpinia.
Intanto mio nonno continuava a tirare avanti a Ischia, malgrado gli inviti di mia madre perché si trasferissero da loro e la promessa di mio padre di dargli una casa e del terreno.
Un giorno mio nonno, andò a cavare tufo, ma pioveva ed il mare era brutto, così il padrone della cava li rimandò a casa.
Giunto a casa trovò sua moglie a letto con un altro uomo. Conoscendo il carattere risoluto di mio nonno, l'amante della moglie gli si gettò ai piedi, piangendo ed implorandolo di non ucciderlo, ma mio nonno con calma glaciale gli disse: "Non mi ricordo più quanti uomini ho ucciso in guerra, ed erano veri uomini, con una bestia come te non mi sporco le mani!"
E senza proferir altre parole si preparò un fagotto con le sue cose, andò via, andò a stare da mia madre in Irpinia.
A questo punto ci sono tutti i racconti dei miei fratelli, che ricordano, questo nonno, attaccare la cavalla al calesse e portarli con lui, la mattina, a raccogliere il latte nelle fattorie vicine, per il caseificio di mio padre.
Aveva appioppato un soprannome arabo ad ogni nipotino, e pare che fosse un raccontatore superbo di storie.
Quando bombardarono il paese, lui era là, non scappò con la famiglia, rimase alla fattoria, seduto nell'aia, con tutte le bombe che esplodevano intorno, la notte dormiva in una vecchia ghiacciaia in disuso, era il suo rifugio anti-bombardamento.
Fronteggiò da solo il passaggio delle truppe tedesche, lo apostrofarono con insulti, a cui lui non si fece scrupolo di rispondere nella stessa lingua, come risposta i tedeschi si presero il pollame: galline, oche e galline faraone le decapitarono e gli lanciarono addosso le teste.
Ma quando uno dei soldati tirò fuori la cavalla dalla stalla, mio nonno lo aggredì, lo disarmò e puntandogli il fucile contro disse ad alta voce perché tutti lo sentissero, in perfetto tedesco: "La cavalla rimane qui! O viva o morta! Ma prima di lei, muori tu! Non saresti il primo Cruco di merda che ammazzo! Io per la cavalla son disposto a morire e tu?"
Doveva avere un aria molto convincente, perché un ufficiale fece riportare la cavalla nella stalla, poi chiese 'per favore' il fucile indietro a mio nonno.
Di quest'ultimo pezzo esistono due versioni, quella più semplice di mia madre: mi disse che i tedeschi non presero la cavalla perché aveva le zampe storte e quella di mio padre (che vi ho raccontato), che anche se più incredibile, forse è quella vera, io, i tedeschi che valutano un cavallo, non riesco ad immaginarli, ma un nonno tosto, che non vuol far preoccupare la figlia, si.
Se ce l'avete fatta ad arrivare fin qui, vuol dire che siete degli amici, vi prometto che è l'ultima volta che vi racconterò una storia vecchia.
Jab