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LA REPUBBLICA
23 ottobre 2005

"Stamattina mentre dal palco iniziava a parlare un delegato calabrese, dalla platea si è alzato un coro di insulti. "Io sono un socialista, ho il diritto di contestare Gianni De Michelis se non sono d' accordo con la fase che il partito sta attraversando. Tu, dalla platea, sei un cretino e stai seduto". La parola evidentemente non è piaciuta al diretto interessato, che con un gruppo di compagni si è diretto sotto il palco e ha iniziato ad inveire contro il delegato che lo ha chiamato "cretino".
Sono partiti gli spintoni e qualcuno ha provato anche a tirare dei pugni. Sono dovuti intervenire gli addetti alla sicurezza per dividere i litiganti, mentre dal palco Gianni De Michelis, segretario del partito, ha preso la parola: "Si devono evitare risse, i compagni hanno diritto ad esprimere il loro dissenso ma devono rimanere seduti. Il primo che prova di nuovo ad alzare le mani lo faccio portare via dalla polizia". Applauso in platea al grido di "Gianni-Gianni".
"Basta, basta...Possiamo essere in disaccordo su tutto ma una cosa sola mi sta a cuore. Questo congresso non può finire in una megarissa tra di noi". Gianni De Michelis, ha interrotto così l'ennesima contestazione dell'assemblea, stavolta indirizzata a un consigliere alla Regione Calabria, Racco. "Invito tutti a stare seduti. Se uno condivide le cose che ascolta applaude, altrimenti fischia. Io sono per libero fischio in libero Stato ma - ha concluso il segretario socialista".


IL MESSAGGERO
23 Ottobre 2005

RISSA SOCIALISTA
URLA IN PLATEA
di MARIO AJELLO

Gianni De Michelis, farla con più calma, alzando il prezzo? «Stiamo mediando», assicurano tutti i big del partito in questa arena congressuale caldissima. Ma questo è un congresso? «Sì!». «No!». «Boh!». Il congresso non è ancora cominciato», assicura De Michelis, che pure è da due giorni qui a congresso. Per Bobo, il congresso c’è. E c’è chi crede di stare a congresso e chi non crede che il congresso in cui sta sia un congresso. Perchè questo pirandellismo post-craxiano? Perchè non si sa quanti sono i delegati. Lievitano a vista d’occhio, raddoppiano, magari triplicheranno. Dovevano essere 1.156. Sono almeno 1.600. E a livello locale, appena una corrente vedeva che stava in minoranza, si faceva il suo congresso e diceva di averlo vinto. Mandando delegati veri e falsi alle assise nazionali. Così, ora, alla Fiera di Roma non si capisce più niente. Però c’è la commissione di garanzia. Si riunisce. Decreta che il 59 per cento dei delegati sono craxiani e il 23 sono demichelisiani. Gli anti-bobofili urlano: «Ladri! Buffoni! Vergogna!». Uno dà l’assalto al palco, vuole parlare. Glielo impediscono. Parte la rissa. Due energumeni prendono l’insorto e lo portano via in braccio, come un bambino urlante e scalciante. Intanto De Michelis convoca improvvisamente i giornalisti in una saletta: «I dati sono falsi», proclama. Il presidente della commissione di garanzia, anti-bobofilo, si chiama Barani. Dice: «Mi hanno impedito di presiedere davvero la commissione che presiedo». Ce l’ha con presunte truppe bobofile che averebbero militarmente assediato la commissione, «di giorno e di notte».
Intanto, il calcolo dei delegati - vero o falso che sia - è in un fogliaccio scritto a mano e illeggibile. Lo speaker che deve annunciare i numeri si impappina e ammette: «Questa grafia non la capisco!». Una bella baraonda. Nella quale Craxi dice a un certo punto sul berlusconiano Cicchitto: «Faceva le liste di proscrizione dentro il Psi». E da fuori piove la replica del vice di Forza Italia: «Cialtrone chi dice queste cose».
Bobo ha detto anche che i «socialisti non possono stare a destra nè per dritto nè per storto». Invita il ministro Caldoro e i due sottosegretari del Nuovo Psi a uscire dal governo. Caldoro risponde: «Io non esco». Craxi chiede a De Michelis una prova d’amore che quello gli dà (giurando che «nella prossima legislatura non staremo con il Polo») ma il clima è quello che è. «Un bel casino!», dice Pannella. Il quale aggiunge: «Va fatta subito l’unità socialista». Ed è arrivato, molto applaudito, mentre i seguaci del calabrese Zavettieri (che il collega Robilotta avrebbe accusato, ma poi ha smentito, di essere più o meno un mezzo amico di quelli della ’ndrangheta) si stanno azzuffando con i rivali. Litigano davanti a tutti Robilotta e Zavettieri, il quale urla «devi chiedermi scusa!» e poi: «Ti querelo!». Pannella cerca di mettere pace. Parla e annuncia: «Mi ha telefonato Prodi. E mi ha chiesto: che fai, vai al congresso socialista?». Sì. Ed eccolo.
Ma non c’è tempo per pensare a Prodi. In sala si accapigliano tutti contro tutti, ma nelle salette è in corso la mediazione che dura tutta la notte. Due le ipotesi. La prima: De Michelis, da segretario, diventa presidente del partito e Craxi prende il suo posto. La seconda: De Michelis resta segretario (ma sulla linea molto sinistrese di Craxi), si sorvola sul ritiro dal governo, Bobo si dimette da segretario per dare comunque un segno di discontinuità.
Così probabilmente l’unità socialista si farà, con tanto di appello ai valori e alle memorie, ma appena saranno chiariti alcuni discorsi contabili. Anzi uno solo, secondo i cinici che ragionano così. Socialisti uniti più radicali vengono dati al 4 per cento alle elezioni. Il che significa 25 deputati. Se a Pannella ne vanno sei, ne restano diciannove. Cioè poco più di quanti oggi ne ha (15) lo Sdi. Boselli è disposto a rinunciare a questa forza, per dividerla con Craxi e De Michelis? Questo vuol sapere Gianni. Anzi, già lo sa. Allora, da vecchia volpe, non è dispostissimo ad accettare l’unità socialista più o meno gratis.
Serviranno allora nuovi calcoli, e altre botte?



ANTROPOLOGIA SOCIALISTA
Micro-partito dalle mille tribù
Con De Michelis laziali e campani, calabresi e lombardi con Bobo

ROMA Un micro-partito, una miriade di tribù. Una sola idea, il socialismo craxiano, e tante antropologie spesso opposte o difficilmente conciliabili. Al primo colpo d’occhio, nella sala della Fiera di Roma, spiccano due popoli: i Fratellisti e i Sorellisti. Cioè? I primi - anche definibili Bobofili - gridano con Bobo Craxi: «A sinistra per l’eternità!». I secondi - i Sorellisti - non sono i soreliani, ovvero quelli che si ispiravano al leader social-rivoluzionario Georges Sorel, ma i fan di Stefania Craxi e applaudono il ministro Caldoro quando dice: «Io non esco dal governo Berlusconi». Caldoro (e la Moroni o il sottosegretario Del Bue) sono appunto Sorellisti. meglio appartengono alla tribù degli Immobili, che vanta anche - giunti da Veneto - molti Social-Azzurri (cioè Berlusconiani al garofano). Credono all’autonomia socialista ma hanno cariche nel governo e sottogoverno del Cavaliere - a volte poltroncine microscopiche come quella del piccolo assessore campano che dice: «Fassino che mi offre?» - e si riconoscono nello slogan: hic manebimus optime. E quando poi vincerà il centro-sinistra, magari si vedrà. «I socialisti non sono in vendita» è il mega-striscione che pende nella sala. Ed è stato messo lì dalla tribù dei Ragionieri. Guidati dal Ragioniere capo: De Michelis. Dicono: a sinistra, certo, ma non da stasera e non in cambio di quasi niente. I Ragionieri fanno i conti: se l’unità socialista si fa subito - come vorrebbe Boselli - i collegi e i parlamentari se li prende soprattutto lui. Loro considerano Bobo un bravo ragazzo, ma uno scarso trattativista. Dunque, gridano: «Gianni! Gianni! Gianni!».
Le differenze fra Bobofili (o Fratellisti o Bobiani) e Ragionieri (o Zazzeruti, anche se De Michelis la zazzera non ce l’ha più da tanti anni, ma quello resta il suo marchio agli occhi degli italiani) la spiega un appartenente a questa seconda tribù: il calabrese Collice. Punto primo: «Sia fra di loro sia fra di noi, ci sono giovani». Ed è vero. Punto secondo: «Loro si ispirano a Zapatero-Blair-Fortuna. Noi a Schroeder e a Formica». Tre: «I demichelisiani sono per lo più campani, siciliani, in parte laziali; i Bobisti sono calabresi e lombardi». Quattro: «Il Garofano l’abbiamo vinto noi in tribunale, mentre loro magari hanno la rosa boselliana e pannelliana». E via così. Fisicamente, le tribù si somigliano. Se parli con qualcuno di loro scopri però che i Bobisti sono anti-berlusconiani (al punto che gli avversari gridano a Bobo: «Dimettiti da deputato, sei stato eletto nel collegio blindato di Trapani con i voti del Cavaliere») e i Ragionieri sono a-berlusconiani («Non siete stanchi di fare i camerieri ad Arcore!», gridano i rivali). Gli uni sono filo-Ds (scurdammoce ’o passato!), gli altri anti-Ds e gridano: «Bobo, ma ti hanno ammazzato il papà!».
Ovviamente ogni tribù ha le sue sotto-tribù. Quella degli Zavettieriani, ossia i Super-calabri tifosi di Saverio Zavettieri, sono Bobisti ma più viscerali di Bobo. Poi ci sono i Craxisauri, antichi animali politici non imbalsamati e anzi vogliosi di riesserci. Provengono da tutte le contrade d’Italia. Alcuni sono invecchiati come la Repubblica Romana e non fanno altro che dire: «Quella volta che Bettino....», «Quando Bettino mi disse...», «Bettino e Io, anzi Io e Bettino....». I mille colori della nostalgia. Che Bobo cerca di trattare con parole ecumeniche: «Non soltanto io, ma tutti noi siamo figli di Bettino». Alcuni sono Passatisti e sembrano camminare con le spalle rivolte all’indietro. Altri sono Futuristi: «Bravo quel Fassino, sembra un Craxi di serie C!». Tra i Craxisauri, oltre al sempre giovanile Giulio Di Donato, c’è - immaginifico come sempre - Rino Formica. E’ con Bobo, e dice a De Michelis: «Noi siamo come il lievito, ma non abbiamo farina. Se vogliamo dare il pane del socialismo agli italiani, il lievito trovi presto la sua farina». Cioè l’unità socialista. E per finire, anche se non c’è più Martelli, sopravvive la tribù degli Intellettuali. La rappresenta Franco Piro, ricoperto da un golfone rosso che è un programma politico. Esulta: «Abbiamo vinto noi!». Ma le altre tribù non si sentono affatto battute.
M.A.

INES TABUSSO