00 05/11/2005 19:32

IL GARANTISTA

21 giugno 1995:
"... due uomini-chiave delle coalizioni contrapposte, Cesare Salvi e Cesare Previti, in un dibattito condotto su Rai3 da Lucia Annunziata. Un dibattito dove le convergenze, nel giudizio sulla magistratura, superano ampiamente le divergenze. Il titolo e': "Siamo stufi di Mani Pulite?". Ma il punto interrogativo appare superfluo. Previti lamenta la "persecuzione" del pool di Milano contro Berlusconi. Salvi deplora l'"accanimento" del pool di Napoli contro Bassolino e le coop rosse. Seguono le telefonate in diretta dell'avvocato Taormina e del condannato Claudio Martelli che si complimentano con i due protagonisti per il profumo d'intesa e per la legge "manette difficili" al vaglio delle Camere, lanciando altre accuse alle Procure. L'unica stecca nel coro la fa una telespettatrice che chiama da Napoli: "Sono un'elettrice progressista, ricordo un infuocato dibattito fra Previti e Salvi un anno fa, sul decreto Salvaladri. Ora vedo che andate d'amore e d'accordo. Vorrei sapere cos'e' cambiato...". Imbarazzo in studio. Poi Salvi risponde che "questa ampiezza di consensi intorno al garantismo non deve scandalizzare, molte cose sono cambiate in questi mesi" Previti sorride. L'indomani insorge invece la Lega Nord: "Un episodio grave, la Lega non e' stata invitata, eppure ha combattuto da sola la battaglia contro le nuove misure supergarantiste", accusa Borghezio. Il quotidiano filoleghista "l'Indipendente" parla di "Patto Ribbentrop-Molotov alla pummarola".
1996
"In settembre il centrosinistra, Pds in testa, coglie l'occasione della Tangentopoli di La Spezia per marcare ulteriormente le distanze da Mani pulite. Cesare Salvi accusa il pool di Milano di aver usato "tecniche investigative rischiose che favoriscono i depistaggi" (6 ottobre)".
(Fonte: "Mani Pulite. La vera storia", di Marco Travaglio, Peter Gomez, Gianni Barbacetto, anno 2002 - Editori Riuniti)



IL PADRE COSTITUENTE

Cesare Salvi, nato a Lecce il 9 giugno 1948. Sposato con due figlie.
Laureato in giurisprudenza è professore universitario ordinario di diritto civile.
Ha fatto parte della Segreteria del PCI tra il 1990 e il ’91 appoggiando la svolta di Occhetto al Congresso di Rimini che ha portato alla fondazione del Pds.
E’ in Parlamento dall’aprile del ’92, eletto senatore nel collegio di Civitavecchia. E’ stato uno dei quattro relatori della Bicamerale presieduta da D’Alema, redigendo il testo sulla forma di governo.
(Fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri)



IL PATTO DELLA CROSTATA

"Con tutta la migliore volontà, e con tutto il rispetto, è un po' difficile considerare la sala da pranzo di casa Letta come la sede piú indicata per stipulare un compromesso istituzionale "alto e nobile". E un po' arduo è anche raffigurare i convitati (D'Alema, Salvi, Berlusconi, Fini, Marini) nelle vesti dei padri costituenti".
(Fonte: CORRIERE DELLA SERA, 20 giugno 1997, Pasticcio al salmone, di Paolo Franchi)



IL RIGORISTA

IL GIORNALE
17 luglio 2005
Intervista al senatore Cesare Salvi
vicepresidente del Senato
di Luca Telese

L'ITALIA DEGLI SPRECHI
"HA RAGIONE IL GIORNALE TROPPI SPRECHI E ABUSI NELLE REGIONI DELLA SINISTRA"
"I nuovi governatori riflettano anziché arrabbiarsi con il sottoscritto. E adesso spero che si passi dal consociativismo al rigore"

Dopo l’approvazione dell’ordine del giorno sulla moralità nella gestione delle istituzioni nato dalla sua iniziativa, Cesare Salvi ha riassaporato il piacere di tornare maggioranza al Botteghino.
Un innegabile successo di immagine per il leader della minoranza diessina, che si è visto firmare l ’ordine del giorno addirittura da un leader del calibro di Giorgio Napolitano, solitamente molto unitario, e attentissimo nel dosare le sue prese di posizione critiche nella vita interna del partito. Eppure, malgrado la rabbia di Antonio Bassolino (che sentendosi criticato personalmente ha abbandonato l’assise diessina) e i mea culpa di Piero Marrazzo (che era finito nel mirino dei media per alcune assunzioni facili nel suo staff di consulenti), l’autocritica all’ombra della Quercia è diventata maggioritaria.
Senatore Salvi, ha fatto arrabbiare qualche suo compagno: dica la verità, lo aveva messo nel conto?
«No. Credo francamente che le cose che abbiamo scritto negli ordini del giorno dovrebbero essere condivisibili da chiunque: il problema è sotto gli occhi di tutti».
Cosa risponde a chi l’accusa di farsi bello agli occhi della base grazie a una crociata «moralistica »?
«Questo chi lo ha detto, scusi?»
Non fingerà mica di non sapere che Bassolino se n’è andato indignato?
«Non fingo affatto, l’ho letto sui giornali: non me ne ero accorto, magari aveva da fare».
E se incontra Marrazzo in un corridoio, adesso, chi abbassa lo sguardo, fra voi due?
«Nessuno dei due. Perché io non ho pronunciato nemmeno una parola contro di lui come persona o come rappresentante istituzionale. E poi perché mi pare che Piero si sia subito messo in azione per correggere le distorsioni che erano state segnalate».
Lei è riuscito persino a convincere Giorgio Napolitano, uno che di solito, politicamente parlando, se lei sta al polo sud lui corre al polo nord....
«Napolitano è da sempre un dirigente molto rigoroso, molto attento al profilo istituzionale del partito, ovviamente distante dalle nostre posizioni politiche. Ma era preoccupato anche lui per la degenerazione di un certo costume».
Ma lei come ha fatto a convincerlo, scusi?
«Abbiamo parlato, poco prima, ha letto quello che avevo scritto nella bozza,mi ha fatto le sue puntualissime osservazioni, e poi ha firmato».
Alcuni governatori ora vi accusano di demagogia e di populismo, lei lo sa questo?
«Se mi dimostrassero conti alla mano che sbaglio, sarei disposto a chiedere scusa. Invece mi pare che gli abusi siano tanti, e non solo per scelte individuali. Forse dovrebbero provare a riflettere su questo, invece di arrabbiarsi ».
Lei fa un discorso di sistema?
«Non dovrei darle una soddisfazione così grande, ma confesso che ho letto con molta attenzione l’inchiesta del Giornale sugli sprechi: qualche articolo l’ho persino messo da parte».
Prometto di non dirlo al mio direttore.
«Bene...e le dicevo:da un lato l’inchiesta era fatta con il giusto taglio perché era a 360gradi. Colpiva a destra e a manca, metteva alla berlina le amministrazioni di sinistra, come era giusto, ma anche gli sprechi di giunte di centrodestra, come in Puglia o in Lombardia».
È un problema trasversale secondo lei?
«Ecco, credo proprio di sì: se si vuole fare un’analisi seria, ci si rende conto che è una vera e propria tendenza». Provocata da cosa?
«Da un sistema politico che combina ed esalta le peggiori tendenze del maggioritario».
Per esempio?
«La deriva è questa: si rischia di depotenziare le assemblee elettive e di rafforzare solo gli esecutivi, in realtà bisognerebbe capovolgerla. Per questo io faccio un discorso sistemico, non mi interessa dare pagelle o certificati di condotta».
Ma perché il fenomeno a volte si verifica sia a destra che a sinistra?
«Perché il maggioritario produce purtroppo un sorprendente consociativismo nelle decisioni di spesa: in Campania l’opposizione ha votato le proposte della giunta».
L’ordine del giorno può cambiare qualcosa?
«Se i partiti e i media vigilano, spero che si passi dal consociativismo al rigore».




CORRIERE DELLA SERA
5 novembre 2005

«Il prezzo della democrazia»
«Sinistra, tutti i soldi della Politica Spa»
Libro-accusa di Salvi e Villone: «Esiste una nuova questione morale»
Sette Giorni

Il vicepresidente del Senato Cesare Salvi e il senatore ds Massimo Villone sono autori de Il prezzo della democrazia , un libro su sperperi e sprechi della sinistra italiana

Dati e circostanze sono documentati in un volume scritto a quattro mani, un lavoro scientifico sul quale ha puntato una casa editoriale come la Mondadori , che pubblicherà il saggio il 22 novembre. Il prezzo della democrazia è l’analisi di una crisi figlia delle riforme degli Anni Novanta, un libro che chiama in causa l’intera classe dirigente, ma che è soprattutto una feroce requisitoria contro il centrosinistra e i Ds, dopo le polemiche della scorsa estate. Perché già a luglio, durante il Consiglio nazionale della Quercia, si era dibattuto di «questione morale». E l’euforia per la vittoria alle Regionali era sparita quando Salvi - insieme con un padre nobile del partito come Giorgio Napolitano - aveva sostenuto un documento che richiamava gli amministratori dell’Unione «alla sobrietà e al rigore politico». Il testo fu votato all’unanimità, ma le reazioni furono «un misto di silenzio e stizza», «come avessimo commesso un delitto di lesa maestà». E Antonio Bassolino fu tra i censori più severi. Epperò non sono sentimenti di rivalsa a guidare il lavoro dei due esponenti ds, semmai il loro è un appello alla sinistra italiana «affinché ritrovi le ragioni ideali», e si liberi «dal mito della diversità»: «Basta con questa storia che saremmo antropologicamente migliori. Ammettiamo che esiste un problema». Perché secondo Salvi qualcosa è cambiato rispetto al passato, come fa capire con una battuta mentre sfoglia alcune pagine del libro: «Una volta nel Pci se andavi in sezione con un Rolex d’oro al polso ti sbattevano subito fuori». A muoverlo non è uno spirito giacobino, «noi siamo favorevoli ai partiti e al finanziamento pubblico», ma bisognerebbe smontare l’attuale «sistema feudale», in cui i «potentati locali» sono «fattori di corrompimento».
Ed è sui potentati locali che il libro accende soprattutto i riflettori, dopo aver raccontato come 81 partiti si dividono oggi 196 milioni l’anno di euro per rimborsi elettorali, grazie a leggine varate «di notte». Sono spiccioli, se la cifra viene paragonata ai costi del «federalismo all’italiana». Le Regioni negli ultimi anni hanno aperto miniambasciate in tutto il mondo. A Bruxelles i governatori dispongono di cento «diplomatici», uno staff più numeroso di quello del governo nazionale; il Friuli-Venezia Giulia possiede un palazzo costato due milioni e mezzo di euro; la Sicilia ne spende uno al mese per undici funzionari e l’affitto di un appartamento; la Lombardia ha sede di rappresentanza anche all’Avana.
E mentre i bilanci dell’Amministrazione centrale si comprimono, le Regioni moltiplicano consiglieri, incarichi e indennità: «In cifra assoluta la retribuzione più elevata è in Sicilia, ma la Campania ha previsto un incremento che entro il 2007 raggiungerà il 31,5%». Nel frattempo è stato calcolato che un consigliere regionale a Napoli guadagna in media duemila euro al mese in più dei sedicimila che percepisce un parlamentare a Roma. Come non bastasse «sono state introdotte le retribuzioni per i rappresentanti di comuni, province, comunità montane, circoscrizioni e consigli di quartiere», che «di fatto non rispondono più a nessuno».
Ma il dato più impressionante emerge da una tabella, dove si spiega che a fronte di circa centocinquantamila eletti ci sono quasi trecentomila persone che hanno «incarichi e consulenze», e costano allo Stato poco meno di un miliardo di euro l’anno: la metà delle spese complessive per la politica. È l’inizio di un viaggio che conduce in un mondo «grigio», dove si è creata «una rete di relazioni e condizionamenti reciproci» tra amministratori e società civile, e dove gli autori scorgono altre prove a sostegno della loro tesi: «La nuova questione morale esiste», perché ormai esiste «una forma di corruzione legalizzata». Sulle consulenze «la Ragioneria generale dello Stato cerca disperatamente di conoscere i dati esatti» ma «c’è un enorme problema di trasparenza».
Salvi e Villone si chiedono retoricamente se servano davvero questi supporti alle amministrazioni, e tra i tanti esempi evidenziano il caso di Bari, dove il sindaco Michele Emiliano «ha affidato una consulenza di centomila euro "per la progettazione e l’implementazione di nuovi modelli di lavoro nella giunta municipale, nell’ottica della condivisione e della pianificazione strategica degli interventi degli amministratori"». Non si capisce cosa debba fare il consulente, l’unica cosa certa è che si tratta di «un membro dello staff del sindaco durante la campagna elettorale».
D’un tratto emerge un universo di buchi neri. La Sanità, con i suoi scandali «che non riescono ad andare oltre le pagine dei giornali locali», ma che narrano i metodi di lottizzazione di primari ospedalieri e manager delle Asl, eppoi le «società miste» che «nessuna istituzione sa quantificare», ma che per i politici locali diventano «un personal business». Ogni capitolo del libro conta i suoi casi dolorosi e i suoi dati clamorosi, da cui emerge «una situazione di alto pericolo, per la chiara possibilità di distorsioni clientelari e peggio»: «O pensiamo che il conflitto d’interessi riguardi solo Silvio Berlusconi?».
L’atto d’accusa di Salvi e Villone non potrà più passare inosservato, perché sono molte le prove sugli «effetti di corrompimento del sistema democratico». E siccome «il centrosinistra governa 16 regioni su 20, 74 province su 108, cinquemila comuni su ottomila», i Ds e i suoi alleati non possono far finta di nulla. «La nuova questione morale» esiste.
Francesco Verderami

INES TABUSSO