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DEDICATO A CHI HA GIA' LETTO IL BANANAS DI OGGI ("Giornaliste disperate"):


"«Gli attentati a Falcone e Borsellino fecero dire anche ai mafiosi: questa volta hanno esagerato. Dalla città devastata partì un' insurrezione che arrivò fino a Roma, eppure... Sono d' accordo con Sciascia quando denuncia i "professionisti dell' antimafia". Anche dopo il 1992 ci furono giornalisti che vissero anni celebrando le stragi, gli anniversari, le marce rituali. No, la complessità della Sicilia non si può raccontare in modo bipolare, di qua i buoni e di là i cattivi, qui la moralità, le vedove, là tutti gli altri. Né si può accettare che - senza cadaveri - le coscienze dei siciliani tacciano. Vediamo in questi giorni che, per tornare a un'immaginata e sognata onestà, si cercano le donne per la presidenza della Regione. Da una parte, forse, Rita Borsellino, dall' altra Stefania Prestigiacomo. Fra le due, è difficile fare una scelta. Mi sento un' anarchica, il partito a cui sono più vicina è Rifondazione, ma nei Ds mi piace Luciano Violante». "

CHI PARLA COSI'? E CHI E' ANDATO A INTERVISTARE LA PERSONA CHE PARLA COSI'? LA RISPOSTA LA TROVATE QUI SOTTO:



CORRIERE DELLA SERA
3 dicembre, 2005

«Povera sinistra, clonata da Berlusconi»
Roberta Torre: è l' era dell' apparenza. Ma ci resta il cinema politico
di BARBARA PALOMBELLI

«Sono quasi affascinata da Silvio Berlusconi. È alla ricerca del gene dell' immortalità, ha dichiarato di avere 25 anni di meno di quelli che gli attribuisce l' anagrafe. Ha operato una trasformazione non solo politica dell' Italia, ma una vera e propria trasformazione fisica: i nostri volti e i nostri corpi sono cambiati, dopo l' avvento della tv commerciale. La potenza devastante della telecamera ha omologato la nostra specie, clonando all' infinito uno stesso modello di maschio e di femmina. Il nostro presidente del Consiglio è perfettamente in sincronia con quello che Hegel chiamava lo spirito del tempo: benessere, telefonini e carte di credito hanno fatto il resto. «Lui ha portato l' Italia nell' era dell' apparenza. E la politica l' ha seguito, imitato, venerato. Addio comizi nelle sale gelide, addio feste e sagre popolari nei capannoni fuori città, addio uomini e donne bruttini, tormentati e dunque considerati un tempo credibili proprio in quanto ombrosi e diversi dai manichini della Rinascente. Una lucidata ai denti, una spazzolata ai capelli, un sorriso smagliante: sono queste le formule per fare politica e ormai, dopo averle ridicolizzate, le utilizza anche la sinistra. Nessuno è immune dal contagio, anche noi che viviamo distanti dai palazzi della politica siamo stati clonati. Il nuovo fascino consiste nell' attenuare i nostri difetti, fino a farli scomparire: un' ossessione che parte dal vertice del Paese e finisce nei centri estetici del Sud, dove le ragazze muoiono sognando un corpo diverso». Roberta Torre mi aspetta al bar dell' Hotel Locarno, un gioiello liberty a due passi da piazza del Popolo. Milanese, dopo dodici anni in Sicilia, si è ora trasferita alle porte di Roma, sul lago di Bracciano. È una delle pochissime persone che - all' inizio dei Novanta - ha lasciato la Milano da bere per immergersi nella Palermo della cosiddetta primavera di rinnovamento, quella guidata dal sindaco Leoluca Orlando, «una persona che conosce davvero la sua gente e la sua città, un uomo di un'energia eccezionale. Quando arrivai, nel 1990, incontrai lui e la fotografa Letizia Battaglia, anche lei una persona straordinaria: guidavano un gruppo di entusiasti». Il nonno di Roberta, Pierluigi Torre, ingegnere all'Aermacchi, ha inventato la Lambretta, «anche mio padre è ingegnere, siamo una famiglia liberale della buona borghesia». Studi al liceo Parini, «dove quasi tutti erano alternativi, ma avevano la filippina a casa che rifaceva loro il letto» e poi filosofia alla Statale, «andavo alle manifestazioni, votavo a sinistra, ma mi sentivo lontana dalla politica, preferivo spettacoli, musica e teatro». Roberta studia drammaturgia all' Accademia di arte drammatica Paolo Grassi e frequenta le scuole di cinema di Milano e di Bassano del Grappa guidate dal gruppo di Ermanno Olmi. È con Olmi che si appassiona alle storie delle persone che vivono ai margini della città. Il suo primo documentario, Tempo da buttare, lo gira al dormitorio di via Ortles, «dove i rifiuti umani e i rifiuti degli umani convivono: persone e oggetti senza tempo». Quando arriva a Palermo, nel 1990, cerca anche lì «storie estreme: il mio viaggio all' indietro nel tempo, dal Nord al Sud, mi porta a incontrare le ultime donne segregate in casa. Adolescenti e anziane, raccontavano davanti alla macchina da presa le loro vite nascoste: ho montato le loro interviste-monologhi in Angelesse, un documentario che ho prodotto e distribuito». Il fatto è che Roberta Torre è convinta che il cinema politico sia «quello che denuncia le condizioni umane, quello che cambia il costume, i comportamenti collettivi. Il cinema di Pietro Germi, purtroppo spesso sottovalutato, è molto politico. I suoi due capolavori: Sedotta e abbandonata e Divorzio all' italiana hanno raccontato agli italiani come si viveva in alcune situazioni estreme e forse hanno costretto le donne a svegliarsi». La Sicilia affascina la trentenne calata da Milano per fare la regista e le offre, nel 1992, lo spettacolo delle stragi: un orrore che scuote l' Italia intera e la cambierà profondamente. «Gli attentati a Falcone e Borsellino fecero dire anche ai mafiosi: questa volta hanno esagerato. Dalla città devastata partì un' insurrezione che arrivò fino a Roma, eppure... Sono d' accordo con Sciascia quando denuncia i "professionisti dell' antimafia". Anche dopo il 1992 ci furono giornalisti che vissero anni celebrando le stragi, gli anniversari, le marce rituali. No, la complessità della Sicilia non si può raccontare in modo bipolare, di qua i buoni e di là i cattivi, qui la moralità, le vedove, là tutti gli altri. Né si può accettare che - senza cadaveri - le coscienze dei siciliani tacciano. Vediamo in questi giorni che, per tornare a un' immaginata e sognata onestà, si cercano le donne per la presidenza della Regione. Da una parte, forse, Rita Borsellino, dall' altra Stefania Prestigiacomo. Fra le due, è difficile fare una scelta. Mi sento un' anarchica, il partito a cui sono più vicina è Rifondazione, ma nei Ds mi piace Luciano Violante». Quando la giovane Torre, nel 1997, mette in scena una commedia musicale sulla mafia, Tano da morire, a Palermo è uno choc. «Volevo ridere della mafia, demitizzarla, utilizzare la sceneggiata, il ballo, l' Opera dei pupi, per far lavorare tutti personaggi veri, presi dalla strada. Volevo anche far un po' riflettere sui valori fondamentali del prodotto mafia, l' unico che riusciamo a esportare in tutto il mondo: basata sulla famiglia, è sempre più forte di qualunque Stato. Basta vedere l' uso del pentitismo, un' arma infallibile da girare contro chi te la dà, ovvero lo Stato. Il cinema e la letteratura non possono prescindere dalla mafia: la voglia di Sicilia, che è anche un po' la voglia di sfogliare il nostro album di famiglia, insieme amato e maledetto, è ovunque. Nei libri di Camilleri, nel romanzo di Pietrangelo Buttafuoco che è in testa alle classifiche, negli sceneggiati banali che però raggiungono vertici di ascolto altissimi». Voglia di Sicilia, ma anche amore per la sua gente. Quando Tano da morire vince premi in giro per l' Italia e diventa un successo, Roberta Torre deve cambiare casa, «venivano a chiedermi di lavorare, c' era la folla tutti i gironi sotto al portone», ride oggi. Palermo è ormai lontana, «mi sembra una città che sta tornando indietro, si sta ritirando di nuovo nelle sue mura, dietro le sue finestre socchiuse». Ha appena finito di girare, con Luigi Lo Cascio e Anna Mouglalis come protagonisti un film sulla crisi delle coppie, Mare nero. Il camino è acceso, i bicchieri di vino rosso si sono vuotati, Roberta Torre mi saluta denunciando, come hanno fatto tutti i suoi colleghi «quella tv che impoverisce il linguaggio e uccide il cinema». Per fortuna, dice anche che «ad allontanare il pubblico dalle sale sono tante boiate prodotte con i fondi statali». Saranno le donne registe, poche ma tutte bravissime e molto sagge, a risollevare il nostro cinema? Lo spero.
INES TABUSSO