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LA STAMPA
20 giugno 2006
Se la privacy è solo dei politici
di Andrea Romano


Che la politica sia cosa diversa dal calcio dovrebbe essere una considerazione di comune buon senso. Ma tanta banalità non basta a spiegare i modi del tutto opposti con cui si è reagito alle due successive ondate di intercettazioni di queste settimane. Le voci catturate al mondo del calcio sono state accolte con un livello di garantismo vicino allo zero, come se ci fossimo finalmente trovati di fronte al racconto di una storia conosciuta da sempre. Quelle che in questi ultimi giorni hanno messo in croce un pezzo di politica italiana stanno invece provocando una spettacolare reazione bipartisan, all'insegna dell'indignazione contro i poteri invasivi di magistratura e stampa ancora una volta unite nell'intento di rovinare famiglie e carriere.

Che Clemente Mastella e Gianfranco Fini si ritrovino concordi nel gridare alla persecuzione di un «grande fratello» deve far riflettere. Non tanto per l'annuncio di una nuova alleanza trasversale, quanto per l'emersione del tradizionale riflesso con cui la politica italiana reagisce ogni qual volta viene sfiorata dal sospetto. Un riflesso fatto insieme di aggressività e alterigia, dietro le quali si intravede la rivendicazione di uno status di eccezione persino rispetto alle accuse più disonorevoli.

Quanto accade in questi giorni ricorda da vicino il caso dell'estate scorsa delle intercettazioni sul caso Unipol-Ds, per quanto diversi possano essere gli argomenti e i comportamenti dei singoli. Anche allora scattò la difesa bipartisan della «privacy politica», nuovo tipo di ossimoro da includere nel dizionario di partiti e istituzioni. Anche allora, invece di rispondere e argomentare nel merito, si parlò di una magistratura che aveva «passato il segno» e che agiva d'intesa con la stampa per perseguire oscuri disegni di destabilizzazione. Sappiamo bene che non mancano tra i magistrati le personalità più inclini al protagonismo, capaci anche di farsi fotografare con scarso imbarazzo in sella ad una Harley-Davidson per corroborare la propria immagine di sceriffi senza paura. Ma tutto questo non può giustificare la frequenza con cui chi esercita la responsabilità della politica ricorre al fantasma della persecuzione, per sottrarsi al dovere di render conto di comportamenti che cessano di essere privati non appena toccano la sfera della decisione pubblica. Anche perché quella rivendicazione di alterigia finisce per fornire alimento alla tendenza tutta italiana alla gogna totalitaria e preventiva, questa sì strutturalmente incapace di distinguere i torti dalle argomentazioni di merito.

Se argomentazioni e giustificazioni vi sono, è dovere della politica farne uno strumento efficace di tutela dalla gogna e dal sospetto. Tanto più quando si tratta di sospetti che poggiano su intercettazioni che sono state vagliate e acquisite agli atti processuali. Perché non ha poi tutti i torti Marco Pannella, quando sostiene che «chi assume una carica politica perde il diritto di non essere conosciuto». In fondo, la differenza fra un calciatore e un politico è tutta qui.


INES TABUSSO