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CONFLITTO D'INTERESSI/ TRAVAGLIO ALL'ATTACCO [1]: D'ACCORDO DI PIETRO E I GIROTONDINI (CORSERA)





30/08/2006 - "CORRIERE DELLA SERA", Pag. 13
CONFLITTO DI INTERESSI LA SINISTRA: NORME DURE
di: LIVIA MICHILLI

www.difesa.it/files/rassegnastampa/060830/BTJX4.pdf



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CORRIERE DELLA SERA
30 agosto 2006
Il presidente del Senato Franco Marini alla festa dell'Udeur
«Conflitto interesse, legge non sia punitiva»
Sulla Finanziaria: «È un passaggio di grande rilievo che tocca anche la credibilità del nostro Paese»

TELESE TERME (Benevento) - Sì alla legge sul conflitto di interessi («è una necessità»), ma questa non sia «punitiva». Lo ha affermato il presidente del Senato, Franco Marini, a margine della festa dell'Udeur. Marini ha detto che «dev'essere messa da parte ogni volontà punitiva, perché le leggi non si fanno per punire, ma per risolvere i problemi. La necessità è avere uin quadro più preciso, magari con un confronto molto serio, rispetto al rapporto comunicazione e politica».
Franco Marini (Lapresse)

FINANZIARIA - Poi Marini ha accennato anche alla prossima Finanziaria. «È un passaggio di grande rilievo che tocca anche la credibilità del nostro Paese», è l'opinione del pesidente di Palazzo Madama. «Il governo, dopo aver rincoquistato rilevanza internazionale, debba portare avanti gli impegni presi con l'Europa con grande determinazione. Il dialogo è necessario e credo che si stia avviando con le forze sociali e anche con l'opposizione. Non bisogna perdere l'occasione di ripresa e la via per cercare di mantenere questa nostra credibilità».




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[1]
ULIWOOD PARTY (Furbetto d’interessi) + LETTERA CON ERRATA CORRIGE


L'UNITA'
29 agosto 2006
Furbetto d’interessi
di Marco Travaglio

Sarà un caso, ma appena si torna a parlare di conflitto d'interessi, Bellachioma diventa un agnellino. Fa il bipartisan, vota allineato e coperto la missione in Libano dopo aver definito «una follia» l'invio di 3 mila militari e lancia messaggi di disimpegno politico fingendo di occuparsi di ville esotiche, vulcanetti portatili, rumbe apicelle, albeparietti e martemarzotto. In questi 12 anni, il trucchetto ha sempre funzionato. Nel '95, per convincere la sinistra a disertare la campagna referendaria sull'antitrust tv lasciandolo solo a martellare per il No, finse addirittura di vendere: in realtà preparava la quotazione in borsa di Mediaset (con relativi debiti) e trovò persino qualche gonzo che lo implorò di non farlo. Nel '96, dopo la vittoria di Prodi, si travestì da padre costituente, votò D'Alema presidente della Bicamerale e il conflitto d'interessi uscì per 5 anni dall'agenda dell'Ulivo. Nel 2001 il Cavaliere tornò trionfalmente a Palazzo Chigi. Promise una legge sul conflitto d'interessi «nei primi 100 giorni». La fece nei primi 1141 giorni, opera di Franco Frattini che, sempre spiritoso, gli impose addirittura di rinunciare alla presidenza del Milan: per il resto un «mero proprietario» può governare senz'ombra di conflitto d'interessi. Una burla.
Ora Di Pietro annuncia la nuova legge. Onde evitare di ritrovarci fra qualche mese un piatto immangiabile «prendere o lasciare», tipo indulto, è forse il caso di rammentare alcuni punti che gli stessi leader dell'Unione ritenevano, fino a qualche tempo fa, irrinunciabili: ineleggibilità dei titolari di concessioni; legge antitrust contro il monopolio della tv commerciale.
Che conflitto d'interessi e trust siano inestricabilmente legati lo disse Prodi il 21 maggio '95: «Si rimuove la Mammì, si fa tabula rasa, si riparte da zero. E si fa l'Antitrust assumendo come base la sentenza della Corte costituzionale che dichiara illegittima la proprietà di tre reti tv da parte di un unico soggetto». E un anno dopo: «La prima cosa che faremo sarà attuare la sentenza della Consulta che comporta la riduzione delle reti Fininvest via etere da tre a due». «È un'anomalia -confermò D'Alema a Mediaset il 4 aprile '96- che un gruppo privato disponga di tre reti in concessione pubblica». Nel 2001 aggiunse: «Berlusconi era ed è ineleggibile» in base alla legge del 1957, (ineleggibilità dei concessionari pubblici), ma il Polo poi l'Ulivo, poi la Cdl ricorsero a una finzione giuridica. Nel 2003 ribadì: «Anche se avessimo fatto la legge, non avremmo comunque risolto il problema, perché Berlusconi avrebbe fatto dono delle sue tv ai figli». Di qui l'esigenza di accompagnare alla legge sul conflitto d'interessi un severo antitrust che tolga al Cavaliere almeno una rete sull'analogico terrestre (vedi Consulta) e liberi le frequenze per altri competitori sul mercato. Diversamente da quanto pensano in molti, infatti, Mediaset non è un «grande patrimonio del Paese»: è un grande patrimonio dei suoi azionisti, soprattutto uno. Il patrimonio del Paese sono le frequenze.
Purtroppo, nell’Unione, di azzerare la Gasparri non parla più nessuno: si accenna a «modifiche» per frequenze e tetti pubblicitari. Non, però, sul punto fondamentale: il limite di due reti per Mediaset. Sul conflitto d'interessi, il programma elettorale non prevede l'ineleggibilità del mero proprietario: solo l'incompatibilità con cariche di governo. Il padrone di Mediaset, finchè fa il capo dell'opposizione, non è in conflitto e può tenersi tv e giornali, purchè ne parcheggi le azioni a un «blind trust». Dovrebbe vendere solo se tornasse al governo (ma, se tornasse al governo, cancellerebbe subito quella legge, quindi il problema non si pone). Intanto, per 5 anni, si pensa di risolvere tutto col «fondo cieco». Che però funziona per un'azienda metalmeccanica, o tessile, non certo per un impero editorial-tv. Qui il guaio non è (solo) che il capo dell'opposizione si arricchisce: è che usa i suoi media per manipolare l'opinione pubblica. Ve li vedete Rossella, Fede, Belpietro, Giordano, Ferrara che diventano improvvisamente imparziali solo perché le azioni del padrone sono affidate al blind trust? Il fondo è cieco, ma il padrone si vede benissimo. E i suoi dipendenti lo vedono benissimo.
Senza antitrust e ineleggibilità, la legge lascia le cose come stanno. Nasce morta. Con l'aggravante di regalare a Berlusconi un ottimo pretesto per il consueto «chiagni e fotti». In questo caso, meglio lasciar perdere e tenersi la Frattini: il mero proprietario continuerà a fottere, ma almeno non potrà chiagnere.



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Lettera a l'Unità
30 agosto 2006
Errata corrige

Nell’”Uliwood Party” di ieri ho scritto che, secondo il programma elettorale e gli attuali progetti dell’Unione, Berlusconi «finchè fa il capo dell’opposizione, non è in conflitto e può tenersi tv e giornali, purchè ne parcheggi le azioni a un blind trust. Dovrebbe vendere solo se tornasse al governo. Intanto, per 5 anni, si pensa di risolvere tutto col “fondo cieco”». Non è così: è molto peggio. Finchè resta all’opposizione, Berlusconi non deve vendere le sue aziende, né devolvere le sue quote a un blind trust. Nada de nada. E non deve vendere nemmeno se torna al governo: in quel caso, si pensa di risolvere tutto col «fondo cieco», lasciandogli la «mera proprietà» del suo colosso editorial-televisivo. Mi scuso con i lettori per il mio eccesso di ottimismo.
Marco Travaglio





INES TABUSSO